CALL | REFOCUS. I fotografi vincitori

PREMI E CONCORSI, PROGETTI

REFOCUS
Open call fotografica sul territorio italiano all’epoca del lockdown

promossa da
Direzione Generale Creatività Contemporanea del MiBACT
in collaborazione con
Museo di Fotografia Contemporanea e Triennale Milano

***

Presentazione dei fotografi vincitori di REFOCUS
e lancio della nuova call REFOCUS #2

Venerdì 9 ottobre 2020, ore 18.30
Con Mario Calabresi (giornalista e scrittore), Matteo Piccioni (storico dell’arte MiBACT-DGCC), Matteo Balduzzi (curatore MUFOCO) in dialogo con i fotografi vincitori.
Nell’ambito della rassegna Fermo Immagine, a cura di Lorenza Bravetta, membro del Comitato scientifico di Triennale Milano
Guarda la registrazione YouTube o Facebook

***

16 settembre 2020 – Sono venti i fotografi selezionati nell’ambito del bando REFOCUS. Open call fotografica sul territorio italiano all’epoca del lockdown, promosso dalla Direzione Generale Creatività Contemporanea del Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo in collaborazione con Museo di Fotografia Contemporanea e Triennale Milano. I vincitori – Arianna Arcara, Lorenzo Bacci e Flavio Moriniello, Fabrizio Bellomo, Tomaso Clavarino, Matteo De Mayda, Ilaria di Biagio, Stefan Giftthaler, Filippo Gobbato, Giulia Iacolutti, Guido Lettieri, Stefano Maniero, Guido Montani, Domenico Nardulli, Mattia Paladini, Camilla Piana, Benedetta Ristori, Jacopo Valentini, Cosimo Veneziano, Hugo Weber, Alba Zari – hanno saputo restituire una grande varietà di linguaggi e una lettura sfaccettata, complessa e variegata della società italiana durante i mesi di quarantena.

La Commissione, riunitasi il 4 settembre 2020, era composta da Matteo Balduzzi, curatore del Museo di Fotografia Contemporanea; Giovanni Fiorentino, studioso di storia, teoria e cultura dei media, presidente della SISF – Società Italiana per lo studio della Fotografia; Cinzia Schiraldi, funzionario architetto MiBACT-DGCC; Francesca Seravalle, curatrice indipendente, docente universitaria; Giovanna Silva, fotografa, docente universitaria e editore.
Delle 186 candidature pervenute, la Commissione ha valutato l’esperienza formativa documentata dal curriculum, la qualità del portfolio, il valore dell’idea progettuale e delle immagini presentate in relazione alle richieste del Bando, dando particolare rilevanza all’originalità della ricerca e all’effettiva realizzazione visiva.

Il progetto si completa con una seconda call REFOCUS #2. Open call per progetti fotografici nell’Italia del post-lockdown che individuerà altri 20 fotografi sul tema della ripresa dopo il lockdown e sulle trasformazioni economiche, sociali e psicologiche che stiamo vivendo.
I lavori selezionati andranno a comporre una mostra che sarà ospitata presso Triennale Milano nel corso del 2021 e confluiranno in parte nelle collezioni del MUFOCO a conclusione dell’intero progetto.

 

I FOTOGRAFI
Scarica la presentazione dei fotografi vincitori a cura della DGCC

Arianna Arcara (Monza, 1984)

Nel 2008 fonda il collettivo Cesura, del quale è oggi presidente e direttrice artistica della casa editrice. Il suo lavoro si incentra sul tema del confine con progetti che indagano la funzione sociale della fotografia e il rapporto tra soggetto e autore. Ha esposto, tra gli altri, a Triennale / Milano, LeBal Space / Paris, MoCP / Chicago, Kulturhuset / Stockolm, Deichtorhallen / Hamburg, Noble Peace Center / Oslo.

FINE TURNO
Fine turno è una serie di ritratti di operatori sanitari alla fine della propria giornata lavorativa. Eseguito in diverse strutture ospedaliere del Nord Italia, tra Lombardia ed Emilia, è realizzato nei mesi critici di marzo e aprile 2020, nel pieno dell’emergenza Covid-19, la sua fase più intensa ed estenuante. Un particolare momento storico in cui una pandemia, inaspettata nella sua virulenza, ha sconvolto la vita di molte persone, compresa quella di chi si è trovato a doverla fronteggiare all’interno degli ospedali tra stanchezza, consapevolezza e dedizione.

 

 

Lorenzo Bacci (Grosseto, 1989) e Flavio Moriniello (Milano, 1986)

Lorenzo Bacci e Flavio Moriniello adottano un approccio multidisciplinare basato su una progettualità molto strutturata derivata dall’esperienza ottenuta lavorando come assistenti di Francesco Jodice. La loro ricerca ruota intorno alla pervasività quotidiana della tecnologia nella vita dell’uomo contemporaneo.

TERMODINAMICA DI UNA SINGOLARITÀ
Ogni evento eccezionale è caratterizzato dalla diffusione capillare di immagini (prima poco conosciute) capaci di iscriversi nella memoria collettiva con un notevole impatto politico, sociale ed epistemologico. Per rendere gli spazi di pubblico accesso più sicuri sono state implementate termocamere. Dispositivi di visione militare e di imaging medico, diventano coerenti in un contesto di emergenza sanitaria e al contempo para-bellico. La specificità della termografia è mostrare lo spettro del visibile e il calore, energia che differenzia tutto ciò che è azione, produzione e movimento da ciò che non lo è. I dati non visivi sottolineano l’importanza della tecnologia nella restituzione e costruzione del reale, nel distinguere il fisiologico dal patologico e mostrano la dicotomia tra desiderio e paura incorporata nella presenza umana. TdS indaga la relazione tra visione, visibilità, rappresentazione, percezione e potere.

 

 

Fabrizio Bellomo (Bari, 1982)

Fabrizio Bellomo porta avanti la sua ricerca con modalità multidisciplinari. Ha esposto in Italia e all’estero, in mostre personali e collettive, attraverso progetti pubblici o editoriali e festival cinematografici. Ha preso parte al Padiglione Italiano della Biennale di Architettura di Venezia, collaborato con la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, La Repubblica. Ha realizzato committenze per istituzioni quali ICCD e MUFOCO.

LO SPETTACOLO DEVE CONTINUARE
Con la collaborazione di Ch. Mantuano

Durante il lockdown, il rapporto che molti di noi hanno avuto con lo spazio e con la realtà esterna è stato mediato quasi esclusivamente dalle immagini prodotte da cameraman e foto-reporter. Questi ultimi, solitamente abituati a spettacolarizzare e a drammatizzare la realtà, non si sono comportati differentemente anche in questa occasione. Grazie all’intelligente disponibilità e alla collaborazione avuta con il fotografo Christian Mantuano, il progetto entra nei meccanismi di spettacolarizzazione e di drammatizzazione delle immagini dell’emergenza sanitaria, producendo una serie di tavole di impianto saggistico da cui emergono tutti gli strumenti a disposizione del fotografo oltre e dopo lo scatto: l’editing turbo-enfatizzato dalla possibilità dell’infinito multiscatto del digitale, la drammatizzazione della postproduzione in bianco e nero, il foto-ritocco con cui rendere deserte e desolate strade che in realtà così – magari – non sono. La cancellazione di talune normalità. Così come una messa in posa drammatica o assimilabile alla fotografia di moda.

 

 

Tomaso Clavarino (Torino, 1986)

Tomaso Clavarino è un fotografo con base a Torino. I suoi lavori sono regolarmente pubblicati da numerosi magazine e media come Vogue, Newsweek, The New York Times, Washington Post, Der Spiegel, The Atlantic, Vanity Fair, D-La Repubblica. Parallelamente al suo lavoro editoriale sviluppa anche progetti più personali che sono stati esposti in gallerie e nei maggiori festival fotografici internazionali.

BALLAD OF WOODS AND WOUNDS
A volte nella vita gli eventi si susseguono uno dopo l’altro, non ti danno respiro. La notizia della gravidanza della mia compagna; un lutto che ci ha colpito nel profondo; l’impossibilità di ricevere un abbraccio da amici e parenti; l’Italia, e il mondo intero, bloccati da una pandemia.
Ecco allora l’esigenza di respirare, di tornare nel luogo in cui sono cresciuto, che da sempre ha rappresentato un rifugio sicuro: un’isola felice immersa in una tranquillità irreale.
Cocconato d’Asti, nel Basso Monferrato, Piemonte. Nella seconda regione più colpita in Italia qui tutto sembrava fluttuare in una surreale calma.
Ed è in questa realtà, come sospesa nel tempo e nello spazio, che è nato Ballad of Woods and Wounds, una sorta di ballata campestre, una narrazione personale di un periodo particolare, che parla di me, delle mie radici, di chi mi sta intorno, ma soprattutto della tensione che pervade le nostre vite.

 

 

Matteo De Mayda (Treviso, 1984)

Matteo de Mayda è un fotografo rappresentato da Contrasto e impegnato in progetti di carattere sociale. Le sue collaborazioni principali includono New York Times, Internazionale, BJP, Vogue e Sportweek. Le sue immagini sono state esposte presso la sede delle Nazioni Unite (Ginevra, 2013) e La Biennale di Architettura (Venezia, 2016). Nel 2019 ha pubblicato “Era Mare”, un libro sull’acqua alta a Venezia.

STADIO LUIGI FERRARIS (GENOVA)
Il calcio è l’ultima rappresentazione sacra del nostro tempo. È rito nel fondo, anche se è evasione. Mentre altre rappresentazioni sacre, persino la messa, sono in declino, il calcio è l’unica rimastaci. Il calcio è lo spettacolo che ha sostituito il teatro” (P. P. Pasolini).

Nella pandemia in corso, riscopriamo l’attualità di questa riflessione di Pier Paolo Pasolini: dalla Seconda Guerra Mondiale in poi, nonostante alluvioni, terremoti o atti terroristici, non era mai accaduto che il calcio venisse sospeso. Dopo l’interruzione dei campionati, ho deciso di fotografare lo stadio “Luigi Ferraris” di Genova completamente vuoto, come elogio all’opera dell’architetto Vittorio Gregotti, scomparso il 15 Marzo 2020 proprio a causa del Coronavirus. Gregotti ha progettato la ricostruzione dello stadio “Marassi” nel 1987-1989, in vista dei Mondiali del ‘90. Definito “il più inglese degli stadi italiani” per la vicinanza degli spalti al terreno di gioco, il Ferraris si inserisce perfettamente nel contesto urbano in cui sorge, esaltando così una delle principali capacità dell’architetto piemontese.

 

 

Ilaria Di Biagio (Firenze, 1984)

Fotografa e artista visiva, è cresciuta in campagna, dove vive tuttora. L’interesse verso la ricerca sul territorio e la sua antropizzazione la porta a viaggiare tra l’Italia e l’estero. Memorie e radici del passato sono un tema comune nelle sue opere, in cui indaga prevalentemente il rapporto che le persone hanno col proprio ambiente. Lavora come free-lance.

LATHE BIOS | VIVERE APPARTATI
Adotta il ritmo della natura: il suo segreto è la pazienza” (Ralph Waldo Emerson)

Da quasi un decennio fotografo il miglio (circa 1600mt.) intorno a casa mia, nel Chianti fiorentino; nelle settimane della Fase 1 quella che mi sembrava già un’area di indagine ridottissima, ha assunto il sapore di una terra lontana, costretta nei miei 200mt. di raggio. È così che ho deciso di indagare questo perimetro davvero limitato ma allo stesso tempo, come non mai, pieno di vita: il lockdown ha fatto sì che le case venissero abitate e vissute davvero quotidianamente, prendendosi cura del giardino ma anche dei rapporti di vicinato. C’era questa dicotomia tra le notizie che leggevamo e il tempo ritrovato, la calma che si respirava in campagna e la frenesia che immaginavo in corsia. E proprio il tempo ritrovato è stato l’artefice di un modo diverso di vivere, di apprezzare i piccoli gesti, portare a termine liste pluriennali di cose da fare.  Ho voluto documentare questo momento sospeso, che è scaturito in una presa di coscienza su modalità di vita da riorganizzare, da rendere più fruibili e vicine ad un ritmo più naturale del vivere.

 

 

Stefan Gifttahler (Trento, 1982)

Stefan Gifttahler nasce a Trento e cresce nella provincia di Treviso. A Milano studia fotografia presso L’Istituto Europeo di Design e la Hochschule für Gestaltung und Kunst di Zurigo. Come fotografo collabora con riviste internazionali e si muove tra vari settori, dal ritratto all’architettura, dal paesaggio alla ricerca personale sui luoghi e le modalità in cui l’essere umano li trasforma.

(senza titolo)
Durante il lockdown, non potendo uscire di casa, mi sono ritrovato a contemplare il mondo dalla mia finestra, che è diventata la mia inquadratura fotografica. Il palazzo che ho ritratto è la prima cosa che vedo quando apro gli occhi al mattino e l’ultima prima di addormentarmi. Mi ha sempre affascinato come il bianco della sua superficie cambia colore con l’inclinazione del sole durante le ore del giorno. Ho deciso di scattare una fotografia al giorno di questo palazzo che si affaccia su Corso Genova. Durante quei giorni, con il silenzio totale in città e la limitazione di movimento, si andava sviluppando un’attenzione sempre più sensibile al cambiare della luce durante la giornata, notando come essa sia in costante cambiamento e mai uguale da un giorno all’altro. Mi affascinava non dovermi “preoccupare” della scelta dell’inquadratura. Come fotografo potevo scomparire ed entrare in una lenta contemplazione giorno dopo giorno, ora dopo ora.

“[…] da mezzogiorno, altre nuvole ravvolte insieme, leggieri e soffici, per dir così, s’andavan lumeggiando di mille colori senza nome: quel cielo di Lombardia, così bello quand’è bello, così splendido, così in pace” (Alessandro Manzoni, I promessi Sposi, cap. XVII)

 

 

Filippo Gobbato (Trieste, 1995)

Dopo il diploma scientifico ha studiato sceneggiatura e regia alla Scuola Holden di Torino. Ha lavorato nel settore pubblicitario, poi si è trasferito a Palermo per studiare al Centro Sperimentale di Cinematografia. Negli ultimi due anni ha lavorato al suo primo lungometraggio documentario sui Centri di Salute Mentale della bassa friulana.

QUARANTENA FIDUCIARIA
con Teresa Bucca

Durante il lockdown ho avuto modo di seguire i volontari di DonK Humanitarian Medicine, impegnati a offrire servizio medico gratuito in tre strutture di accoglienza a Trieste. Il mio lavoro consisteva nel documentare il loro operato, ma ho deciso di ampliare lo sguardo per esplorare la situazione in cui si trovavano i rifugiati. È nato così Quarantena Fiduciaria, un progetto volto a indagare questa particolare condizione umana. Cosa significa restare chiusi in un luogo che non è casa, con il quale non hai familiarità, né possibilità di intimità? Queste persone non sanno com’è fatta la città dove si trovano e non hanno idea di cosa succederà nel loro futuro più prossimo. Vivono sospesi dentro strutture riadattate. Le giornate scorrono lente e pesanti in un’attesa senza data di scadenza. I corpi stremati dal viaggio, gli sguardi persi in direzione di pavimenti e finestre. Molti di loro hanno tenuto fede al Ramadan, che è caduto in concomitanza del lockdown. Gli scambi di parole sono pochi, ma si avverte un senso di solidarietà reciproca molto forte, fondamentale per affrontare un momento così critico.

 

 

Giulia Iacolutti (Cattolica (RN), 1985)

Fotografa e artista visiva, si dedica principalmente ai suoi progetti personali esplorando, attraverso vari linguaggi, temi di natura socio-politica relazionati alle lotte di resistenza identitaria. Tra gli ultimi riconoscimenti la nomina al Foam Paul Huf Award, il premio FVG Fotografia del Craf e il premio M. Bastianelli miglior libro d’artista per Casa Azul, edito da the(M) éditions e studiofaganel.

INSCAPE
L’11 marzo 2020 l’Italia si fermava. L’11 marzo io entravo nella mia dodicesima settimana di gravidanza. La vita non si sarebbe fermata. Come da decreto, rispettai le prescrizioni, uscendo solo per “situazioni di necessità”, così segnavo nel modulo di autocertificazione le visite ostetriche. Sono quarantatre i km che dividono casa mia dall’ospedale, è una clinica tra le Alpi Carniche e per arrivarci si percorre una strada che si snoda lungo il fiume Tagliamento. I luoghi guardati attraverso il finestrino durante i cinquanta minuti di macchina diventavano così parte di un paesaggio interiore che prendeva reale forma solo nell’addome, in continua mutazione. A fianco a me il mio compagno: seduta sul sedile posteriore, mi scortava fino all’entrata dell’ospedale per poi aspettare nel parcheggio; alla persona cara non era permesso assistere alle ecografie. I soli paesaggi che potevamo scrutare erano allora i nostri corpi, alla ricerca del futuro nell’osservazione dei tratti somatici dell’uno e dell’altra. Il 4 maggio il ventre era diventato la collina su cui correre e, i nostri occhi, laghi lucidi colmi di una speranza volta non alla difesa di uno stile di vita, ma della vita stessa.

 

 

Guido Lettieri (Napoli, 1984)

E’ un fotografo italiano autodidatta con base a Belluno. Si occupa principalmente di progetti di ricerca personale a lungo termine che affianca ad una costante attività di commissioni commerciali con aziende nazionali e internazionali per le quali inventa progetti visivi coerenti e narrativi.

(senza titolo)
Il lavoro che ho proposto è un racconto della provincia di Belluno nei giorni immediatamente successivi alla riapertura graduale delle attività dopo il lockdown. Una delle prime cose che mi ha colpito alla fine del  periodo di quarantena è stato il silenzio nelle strade, l’assenza di bambini e di attività sportive in quei luoghi che si danno per scontati. Quindi ho sentito l’esigenza di raccontare questi spazi dall’alto, come se Dio li stesse guardando, vuoti, svuotati del loro senso, solo forme geometriche di spazi una volta abitati.

 

 

Stefano Maniero (Pordenone, 1989)

Sceglie l’ISIA di Urbino dove si lega a doppio filo al mondo della fotografia e si specializza in Fotografia dei Beni Culturali. A Bologna nel 2015, instaura un contatto con il mondo dell’arte, collaborando soprattutto con gallerie, artisti e architetti. La sua ricerca riflette una visione rispettosa del luogo ma riconoscibile per stile e metodo.

L’OPPOSTO DELLA VERITÀ È UN’ALTRA VERITÀ
Il progetto L’opposto della verità è un’altra verità si basa sull’influenza che gli avvenimenti hanno sulla percezione della realtà. Le fotografie mostrano al fruitore i luoghi entro i 200 metri dalla mia abitazione, ponendo la questione sul “che cosa sto guardando?”; se avessimo vissuto un 2020 senza la diffusione del Coronavirus e non ci fosse stato un lockdown, il paesaggio ritratto avrebbe comunicato altro.
Lo spazio urbano non è mai mutato, siamo noi che vestiamo di nuovi significati ciò che incrociamo con lo sguardo, come il profilo di una nuvola o il colore di una pianta. Quello che è stato vissuto nel periodo di chiusura stravolge la percezione delle immagini, le àncora e le porta su un piano visivo che comunica uno stato di allerta, ormai noto a tutti. Affiancando una doppia didascalia, le foto raccontano realtà differenti descrivendo due visioni: con e senza l’avvento della pandemia. I testi hanno orientamento opposto, ciò obbliga il fruitore a muovere la testa per poterli leggere, forzando fisicamente a cambiare punto di vista: a diverso sguardo otteniamo una diversa lettura della realtà.

 

 

Guido Montani (Roma, 1982)

Si è laureato in Letterature Comparate alla Sapienza di Roma con una tesi sugli scrittori migranti in Italia. Giornalista pubblicista, ha collaborato con l’agenzia Ansa dal 2008 al 2014, con il collettivo OneShot, e successivamente come fotografo indipendente a Berlino, Torino e Milano. Ha esposto presso CAMERA, a Torino, il Castello Cavour di Santena, il Museo Etnografico di Tornaco, e al Visa pour l’Image.

HOME STAY HOME
Diari di quarantene bucoliche e video-lezioni di cucina e meditazione, alternate a bollettini della protezione civile e approfondimenti di virologi, hanno occupato gran parte dello spazio dell’informazione nella prima fase del lockdown per l’emergenza Covid-19; tuttavia la retorica della casa come luogo sicuro in cui rifugiarsi e riscoprire le proprie passioni è parsa subito stridente rispetto ai dati che indicano l’Italia come uno dei paesi occidentali con l’emergenza abitativa più alta. Partendo da queste considerazioni, all’inizio di aprile, a un mese dall’inizio del lockdown, ho iniziato una documentazione visiva di alcuni quartieri periferici di Milano, il capoluogo della regione italiana più colpita dalla pandemia. Il lavoro alterna fotografie di edifici residenziali ad alta densità abitativa a ritratti di abitanti del quartiere in un momento di pausa dalla clausura. L’ambizione di questa indagine, parte di un lavoro più ampio sull’edilizia in Italia, è quella di testimoniare l’impatto della pandemia e del lockdown sul paesaggio della periferia milanese, un territorio che può esercitare la funzione di paradigma delle istanze croniche dell’edilizia popolare e delle politiche abitative nazionali.

 

 

Domenico Nardulli (Acquaviva delle Fonti (BA), 1983)

Domenico Nardulli, aka Domingo, vive e lavora a Milano come fotografo dopo aver conseguito nel 2011 il diploma di fotografia presso l’APAB di Firenze. Fondatore di doubleone_studio, la sua produzione artistica si distingue per un approccio realistico e allo stesso tempo ironico nella ricerca di oggetti e situazioni quotidiane abitualmente inosservati.

SPAZIO LIBERO
Milano – 15.04.2020

Il progetto Spazio libero presenta una serie di fotografie scattate per le strade della città di Milano in bicicletta, utilizzando diversi supporti (medio formato, digitale, smartphone). Le immagini selezionate mostrano alcuni spazi pubblicitari fotografati, in tutto circa 90, che si presentano vuoti, bianchi e muti, nessuna immagine, nessuno slogan, nessuna presenza, solo una prorompente assenza. L’obiettivo principale del lavoro è quello di mostrare il paesaggio urbano sotto una prospettiva di analisi che vuole dare attenzione ad alcuni “oggetti” dai quali siamo così assuefatti da non renderci più conto della loro esistenza. Il progetto è però pretesto per una riflessione più ampia. Bombardati da una serie sempre maggiore di immagini, perdiamo la consapevolezza di ciò che ci circonda. I veri protagonisti della riflessione non sono gli spogli cartelloni in giro per la città, bensì tutte quelle presenze intorno a noi che sono divenute con il tempo così assenti. Il lockdown ci ha messo di fronte ad una riflessione profonda e ci ha naturalmente portato a ripensare il nostro vedere, invitandoci a guardare e osservare di più.

 

 

Mattia Paladini (Ivrea, 1988)

Mattia Paladini concentra la sua ricerca sul paesaggio. Le sue immagini includono scenari sospesi tra la montagna e il luogo antropizzato caratterizzati da un’indefinita collocazione temporale. Attratto dal bianco gelido del Nord, dalle grandi opere ingegneristiche in zone difficilmente accessibili. Sempre attento a riportare le reali proporzioni tra uomo e spazio circostante.

LOCKDOWN IN VALLE D’AOSTA
Il progetto documenta i confini visibili e invisibili, territoriali e mentali, in un momento in cui la libertà di spostamento viene a mancare a causa dell’epidemia di Covid-19. La Valle d’Aosta è una regione di frontiera – qui si trovano due passaggi verso l’Europa centrale – e da centinaia di anni vede transitare persone e popolazioni attraverso le sue montagne mettendo i suoi abitanti in contatto con culture differenti. I confini nazionali tra Italia, Francia e Svizzera appaiono sospesi nel tempo e nello spazio e assomigliano a monumenti abbandonati. Il Monte Bianco, con i suoi ghiacciai malati è lo specchio dell’epoca climatica contemporanea e confine naturale con la Francia. L’atmosfera priva della presenza umana genera incertezza e scene post apocalittiche. Il silenzio invita alla riflessione e all’osservazione di quello che ci circonda, mandandoci a caccia di risposte.

 

 

Camilla Piana (Piacenza, 1988)

Camilla Piana è una fotografa italiana di documentazione fine art. Attraverso una visione contemplativa e cinematografica dello spazio e del ritratto, la sua ricerca si focalizza sulla relazione tra sogno e realtà, verità e finzione, documentazione e poesia. Attualmente lavora a due progetti a lungo termine dall’impronta editoriale: uno nel piccolo paese delle sue radici, in Emilia Romagna, l’altro in Eritrea, entrambi mossi dall’esperienza dell’amore. Lavora come fotografa freelance a Milano, dove vive. Nel 2018 è stata selezionata per la Nikon-NOOR Academy masterclass a Torino. Nel 2019 ha esposto a Tel Aviv tra i vincitori della call “Fantasia” di PhotoIS:RAEL.

VIA RUBENS N°9
Abito in un palazzo di ringhiera della vecchia Milano. Mi ci sono trasferita nel 2017, innamorata della sua compagine umana, colorita e folta. La sorda deflagrazione del Covid-19 e l’imposizione della quarantena hanno involontariamente recapitato a questo indirizzo una inaspettata novità: il tempo lento. Tra i lunghi corridoi di corte ora non ci sono solo i panni stesi al sole con impettito ingombro, gli sbuffi profumati di sugo e fritto tra le rampe delle scale, la bottega del falegname e il laboratorio del panettiere, ma c’è anche chi legge alla stessa ora, chi coltiva tintarelle, il guardone ficcanaso, e chi cerca, come me, una ventata di ossigeno tra la luce dei ballatoi. Apprendo solo ora la gestualità di ciascuno, i timbri delle loro voci e senza poco imbarazzo scopro solo dopo anni i loro nomi. Questo è il diario di un tempo sospeso, dei volti e delle assenze, delle voci e dei silenzi che hanno accompagnato, in modo un po’ più dolce, questo mio isolamento. Abito in via Rubens 9 e quando il tempo della vita tornerà di nuovo a non bastare mai, noi ci fermeremo un altro giorno ancora per far esplodere la più grande festa di condominio mai vista a questo civico.

 

 

Benedetta Ristori (Fiesole (FI), 1988)

Benedetta Ristori è una fotografa freelance. Il suo lavoro si basa sulla tensione che esiste tra una forma, sia astratta che geometrica, e lo spazio che essa occupa. Il mondo esterno viene rappresentato attraverso atmosfere sospese, portando lo spettatore in un’esperienza spesso fuori dallo spazio e dal tempo. I suoi progetti sono esposti in gallerie internazionali e collabora regolarmente con magazine italiani e non.

(senza titolo)
La finestra è uno sbocco sul mondo; guardando attraverso i vetri delle nostre case si può assistere alla messa in scena della realtà. Osservando gli estranei a noi vicini, si può immaginare la loro vita, creando storie. Spesso le stesse persone possono essere notate ogni giorno alla stessa ora, e possiamo iniziare a immaginare il trascorrere dei loro giorni, il loro carattere, il loro stato d’animo.
Mai come nel lockdown abbiamo sperimentato la necessità di distrazione, respiro e di contatto con l’esterno. Confinati nei palazzi, nel silenzio delle nostre città, scorgere gli sguardi limitrofi ci ha dato un senso di connessione e, forse, di solidarietà.

 

 

Jacopo Valentini (Modena, 1990)

Vive tra Modena e Milano. Nel 2017 ottiene due lauree presso due atenei differenti: la laurea magistrale in Scienze dell’Architettura / Accademia di Architettura di Mendrisio e il Master in Photography / IUAV di Venezia, sotto la supervisione dell’artista Stefano Graziani. Attualmente sta lavorando a un progetto di ricerca personale sul dislocamento territoriale all’interno dell’immaginario comune.

SUPERLUNARE
Il fenomeno Superluna consiste nella coincidenza di una luna piena e la sua minor distanza dalla Terra. Lontano dalla tangibile esperienza quotidiana, l’individuo si esprime in un corpo limitato nella possibile percezione ed infinito nell’estensione dell’esperienza immaginativa proiettandosi in una dimensione inusuale. Nella pratica dell’artista forma e contenuto si relazionano in una sinuosa e perpetua oscillazione che altera il valore del momento, ormai affetto da una sintomatica deformazione generata dall’esperienza di imposto isolamento. La dilatazione temporale è diventata una costante della mia vita e ora che lentamente ci si avvicina ad una ripresa questa mi sembra già essere una cosa vecchia ed estranea. Superluna, super-flusso di coscienza. Il lavoro è stato svolto durante la fase 1 del lockdown in concomitanza con la superluna del 7 aprile 2020 e nei giorni antecedenti e successivi a questa data. Il valore del tempo è cambiato completamente durante questa quarantena. Superlunare è una piccola ricerca che ho realizzato in questi due mesi di quarantena, non l’ho dedicata a questo momento storico e non ho sentito la necessità di mostrarla durante la sua concretizzazione. Contenuto e forma si muovono insieme, sono in forte relazione.

Non pensare «oggi cosa metto», pensa «oggi cosa tolgo»”. (Guerre Fredde, Coma_Cose feat. Stabber)

 

 

Cosimo Veneziano (Moncalieri (TO), 1983)

Vive e lavora a Torino dove ha co-fondato la residenza Internazionale Progetto Diogene, nata nel 2007. La sua pratica è caratterizzata da un’ampia attività di ricerca e workshop legata alla lettura degli archivi con l’intento di riportare l’attenzione verso frammenti di storie sconosciute e sottolineando il processo di formazione e di scarto avvenuto.

HAL 9000
La serie Hal 9000 è un lavoro che riflette sul concetto di spazio fisico e virtuale. Si tratta di una serie fotografica nata durante il periodo di quarantena per il Covid-19. In quei giorni ho vissuto con mia moglie e mio figlio in un piccolo appartamento di 40 mq a Torino, con due finestre che si affacciano in un cortile condominiale. In questa limitazione di spazio e nell’impossibilità di muoverci di quei giorni, ho cercato di guardare il paesaggio italiano tramite delle webcam, occhi “autorizzati” a “registrare” e mostrare quello che succedeva nel mondo esterno. Ho eseguito una selezione dei numerosi scatti realizzati dei paesaggi turistici italiani montani e marini, tratti da webcam in diretta in quei giorni. Tutti gli scatti selezionati sono simili tra loro e l’unico elemento ripetuto è la totale assenza di persone in quei luoghi turistici. Il fondale delle immagini è una serie di fotografie di galassie che ricordano i desktop dei pc. Mi sembra ideale riflettere sul concetto di paesaggio, perché in questo momento storico che stiamo vivendo ha cambiato per i prossimi anni il nostro modo di vivere lo spazio pubblico , forzando maggiormente il nostro modo di guardare verso paesaggi virtuali e relazioni interpersonali mediate dalla telecamera.

 

 

Hugo Weber (Parigi, 1993)

Hugo Weber nasce a Parigi nel 1993 da ragazza madre single fotografa, in un contesto familiare proletario e si trasferisce a Milano nel 2002. Lavora con diversi fotografi e nel 2016 è per un anno assistente di Alex Majoli. Si dedica ora a tempo pieno ai suoi progetti personali. A maggio 2019 esce il suo primo libro fotografico, 5341, a proposito di una periferia di Milano sud.

Quando è iniziato tutto ero fuori Italia da settimane per una residenza d’artista nel nord della Francia e non mi sono accorto di nulla. Nei primi giorni, mi è sembrata quasi una sorta di “fortuna”, ero nel posto giusto al momento giusto, poi mi sono reso conto. Sono saltati tutti i miei lavori da marzo a tempo indeterminato; vedendo i miei amici scappare dalle città, sentendo di alcuni conoscenti morti e vedendomi obbligato a trovare un posto in cui confinarmi, ho deciso di andare dalle mie zie (sorelle di mio nonno, in realtà) per occuparmi di loro e, per la prima volta in vita mia, ho sentito un vero senso di responsabilità.
Quando ho sviluppato i rullini che ho scattato, mi sono reso conto che attraverso metafore involontarie ho parlato esplicitamente di come mi sia sentito durante il covid: 3 mesi di noia, ansia, responsabilità, instabilità e paura della morte.

 

 

 

Alba Zari (Bangkok, 1987)

E’ laureata in cinematografia al DAMS, specializzata in fotografia documentaria all’ICP di New York, consegue il master in fotografia e visual design alla NABA di Milano. Lavori recenti includono Places (2015) e The Y, Research of biological father (2017), con cui vince il premio Graziadei 2019. E’ stata esposta in numerose mostre internazionali, tra cui la London Art Fair, al MAXXI di Roma e al Festival Circulation di Parigi. Alba Zari fa parte dei FOAM Talent 2020.

I AM VERTICAL
Il progetto nasce durante il periodo della quarantena. Le fotografie sono quelle dei luoghi a me più cari: Trieste dove abita mia madre e Positano dove vive mia nonna. Riguardavo continuamente queste immagini, scattate la scorsa estate, sullo schermo del mio computer, provando una forte nostalgia verso quei luoghi e domandandomi se fossero ancora lì, così come li avevo lasciati. Ho ri-fotografato quelle immagini con il mio telefono per evidenziare visivamente come l’immagine cambia attraverso i pixel dello schermo. Immagini analogiche che diventano digitali, virtuali così come lo sono i nostri contatti. I ricordi dei luoghi in cui sono cresciuta saranno cambiati quando questo periodo sarà finito e forse non potrò più ripercorrerli con leggerezza. Vivremo tutti in modo diverso i contatti con la natura e con gli altri. Il titolo di questo progetto viene dalla poesia I am Vertical di Sylvia Plath che amo molto e che ho letto e riletto in questi giorni, mi sembra che racconti bene il momento che stiamo tutti vivendo e il desiderio di tornare ad avere un contatto con la natura e noi stessi.

 

 


 

This content is also available in: Inglese