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FOTOGRAFIA ASTRATTA DALLE AVANGUARDIE AL DIGITALE

MUFOCO EDUCATIONAL FOTOGRAFIA ASTRATTA Cordier PIERRE CORDIER Questa immagine sognante accende la fantasia: ci proietta verso galassie sconosciute, o ci immerge negli abissi profondi degli oceani. I colori e gli intrecci finissimi e variegati hanno l’aspetto di venature di marmi pregiati. Il chimigramma è protagonista dell’opera di Pierre Cordier, una tecnica da lui messa a punto nel 1956, immagini ottenute senza macchina fotografica, ma con l’azione diretta di prodotti chimici sull’emulsione della carta. L’assenza di riproducibilità fa del chimigramma un oggetto unico. Barbieri OLIVO BARBIERI Le sperimentazioni di Olivo Barbieri rimangono sempre sul versante della fotografia off-camera e creano forme che sembrano fuochi d’artificio o immagini lunari. Si tratta di una serie giovanile di fantasiosi chimigrammi da negativo associati ad alcune frasi di Claude Pélieu di tono surreale che diventano importanti titoli funzionanti da supporto narrativo per le immagini. Fontana FRANCO FONTANA Che sia un quadro astratto o l’immagine fotografica di colline della Basilicata le campiture di colore così geometriche appiattite ed estrapolate dalla realtà ci aiutano a semplificare la complessità del paesaggio naturale andando a creare visioni astratte di grado zero. Le fotografie di Franco Fontana ci restituiscono luoghi surreali in cui il colore è protagonista e i giochi di linee sono ritmati in una sorta di colorata grammatica che rende tutto più suggestivo. Garnell JEAN LOUIS GARNELL L’immagine di grande formato di Louis Garnell presenta una imponente campitura grigia contornata da un’espolosione di frammenti colorati depositati sui bordi laterali. Non abbiamo più nessun riferimento che riporti alla realtà, le forme vivono all’interno di un assemblaggio digitale incuranti del mondo quotidiano. Nella serie Modules, images, Jean Louis Garnell affida al computer il lavoro di frammentazione e successiva ricomposizione arbitraria di immagini non scattate da lui, il cui risultato è un diffuso grigio medio, sommatoria di tutti i colori del mondo. Giacomelli MARIO GIACOMELLI Un punto di vista così estremo, una veduta aerea dall’alto, ci restituisce una particolare interpretazione del paesaggio, grazie a quella distanza è possibile prendere meglio coscienza del territorio, che a saperlo guardare bene ci racconta la storia di uomini che lo hanno vissuto. Una collina marchigiana segnata dai solchi della lavorazione dei campi rimanda a forti segni di sapore tipografico tipici delle opere di Mario Giacomelli. Il paesaggio agricolo si fa bidimensionale e l’aratura diventa traccia di una fatica di anni dell’uomo per arare, e della terra per ricevere quelle ferite, che per similitudine rimandano alle rughe profonde della mano del contadino. Gioli PAOLO GIOLI Paolo Gioli inserisce piccoli oggetti di diversi materiali tra sé e il soggetto fotografato, direttamente nella camera con foro stenopeico che a partire dalla fine degli anni Settanta usa per realizzare ritratti e autoritratti su Polaroid. Realizza così delle doppie fotografie, riprendendo contemporaneamente il volto del soggetto e le forme astratte che interferiscono con esso fino a cancellarlo. Nelle sue immagini vi sono sempre importanti sovrapposizioni di linee ed elementi astratti in dialogo/conflitto con il soggetto. Grignani FRANCO GRIGNANI L’occhio si interroga sulla visione, messo a dura prova dalle sperimentazioni astratte di Franco Grignani. Gli elementi grafici creano dei disegni optical che giocano sulla raffinatezza ed eleganza della forma. Grignani lavora in una direzione originale e diversa, orientata ad approfondire i processi della percezione – sia dell’occhio umano sia della macchina fotografica – e i fenomeni ottici, dalla visione plurima alle distorsioni. Masotti ROBERTO MASOTTI In alcuni lavori di Roberto Masotti dedicati alla natura vi è un sottile, elegante legame con la Land Art. La roccia emerge dal nero dello sfondo accentuato da strati di pittura stesi direttamente sulla carta fotografica, il tutto ci restituisce un’immagine appartenente ad una strana ed inquietante dimensione onirica. Migliori NINO MIGLIORI Nelle sperimentazioni su carta fotografica di Nino Migliori - chimigrammi, idrogrammi, pirogrammi, ossidazioni, cliché-verres - appaiono mondi surreali, spaziali e grafici, provocati da reazioni di acidi, bruciature, tagli e graffi. La fotografia astratta tra gli anni Cinquanta e Sessanta si confronta con le esperienze artistiche dell’Informale e delle Neoavanguardie e si interroga sugli strumenti per esplorare tutte le possibilità espressive del mezzo. La superficie della carta fotografica si trasforma in una sorta di tela sulla quale forme, costellazioni, grumi, segni semplici oppure complessi sono tracciati dalla luce e ‘accadono’ in modo libero e aperto a molteplici possibilità interpretative. Monti PAOLO MONTI Le sperimentazioni astratte nelle fotografie di Paolo Monti nascono dall’osservazione diretta della natura. I risultati qui presentati sono ottenuti grazie a diverse tecniche: dalla rotazione della macchina fotografica alla macrofotografia di rocce, licheni, legni, foglie e muri. L’occhio, grazie alla macchina fotografica, potenzia la sua visione e penetra nella materia fino a perdere i riferimenti con la realtà, stimolando associazioni con la pittura dell’Espressionismo astratto. Siskind AARON SISKIND L’inquadratura seleziona porzioni di realtà decontestualizzate, bidimensionali, non c’è prospettiva, la terza dimensione è azzerata. La visione è provocata da segni pittorici lasciati sulle superfici urbane. Nella fotografia di Aaron Siskind non c’è intento descrittivo, ma l’esigenza di trasformare soggetti della vita quotidiana in autonome composizioni astratte a partire da cose banali, quotidiane, senza particolare significato, segni trovati sui muri, sui selciati, sulle inferriate di New York. Veronesi LUIGI VERONESI Fotogrammi La luce in fotografia è come il colore in pittura.
I fotogrammi di Luigi Veronesi sono composizioni astratte, immagini luminose ottenute senza l’uso della macchina fotografica. La sua sperimentazione avviene in camera oscura con negativi o con carta fotografica sopra cui gli oggetti esposti alla luce formano giochi di ombre e inaspettate trasparenze. Delle sue immagini ci cattura l’intensità dei colori, la bellezza delle forme e delle composizioni geometriche.
Wolf SILVIO WOLF Il dittico di grande formato di Silvio Wolf attira non solo l’occhio ma anche il fisico che è avvolto da colori caldi e intensi, l’opera arriva a coinvolgere direttamente la sfera delle emozioni. Ci sfugge il contenuto dell’immagine che grazie alla fantasia ci porta verso ricordi di tramonti e fuochi ardenti. Immediata è l’associazione con l’opera di Mark Rothko. Come ci svela Silvio Wolf recupera “gli spezzoni iniziali della pellicola fotografica, esposti casualmente alla luce durante il caricamento della macchina fotografica e irregolarmente sviluppati durante il processo foto-chimico” rimandando ad una riflessione sulla materia della pellicola fotografica al limite tra analogico e digitale.

ANNI SESSANTA E SETTANTA. IL CORPO COME LINGUAGGIO

MUFOCO EDUCATIONAL IL CORPO COME LINGUAGGIO bailey DAVID ROYSTON BAILEY Tokyo 1975 Il taglio deciso della fotografia di David Bailey ci costringe a concentrarci sui tatuaggi come soggetto principale dell’immagine. Non siamo invitati a sapere di chi è quel corpo, non incontriamo il volto né gli occhi del soggetto ritratto per intuirne l’identità. La bellezza di questi disegni intarsiati sul corpo diventa una scrittura segreta di chi vuole esprimere qualcosa di forte, importante, una comunicazione non verbale, silenziosa e incisa sulla pelle. Per David Bailey la superficie del corpo diventa il luogo della narrazione che racconta veri e propri micromondi. Basilico GABRIELE BASILICO dalla serie "In pieno sole", 1978 La pelle del nostro corpo è sensibile alla luce e reagisce scurendosi alla sua esposizione con un processo analogo a quello della fotografia. Così, se una stoffa copre una porzione di corpo, la parte scoperta rimarrà impressionata, proprio come avviene alla carta emulsionata. Gabriele Basilico, noto fotografo di architettura e paesaggio, negli anni Settanta affronta questo insolito tema con ironia e senso del grottesco: il corpo, abbronzato e unto da creme solari, diventa oggetto plastico e foto-sensibile. Brus GÜNTER BRUS Ana, Performance, 1964 In questa serie di immagini la fotografia ha la funzione di testimoniare e documentare un atto performativo. Grazie ad essa la performance di Günter Brus si può svolgere anche a posteriori, davanti ai nostri occhi. Guardiamo il suo corpo che diventa luogo dell’azione nel mettere alla prova la propria espressività e la propria resistenza fisica e psicologica. La fotografia quasi teatrale rappresenta il gesto finale che fissa il dramma del corpo coinvolto in atteggiamenti estremi. La ricerca fotografica tra anni Sessanta e Settanta si collega strettamente alle istanze portate avanti dalle Neoavanguardie, prima fra tutte la Body Art, secondo la quale il corpo stesso diventa strumento espressivo e di misurazione esistenziale. Buscarino MAURIZIO BUSCARINO Francisco Copello, 1977 Ci troviamo di fronte a una fotografia di scena teatrale, dove il corpo è protagonista: lo sfondo nero ne esalta la plasticità e classicità, la luce ne definisce il profilo e ne enfatizza la vitalità e drammaticità. Maurizio Buscarino, uno dei massimi fotografi di teatro europei, ci racconta in questo modo la performance teatrale del famoso mimo Francisco Copello. Il corpo e il volto dell’attore esprimono tensione, eleganza, elasticità, distorsione, armonia e passione. Carmi EUGENIO CARMI Chromosynclasma, 1971 Il corpo femminile, frammentato dalla scelta dell’inquadratura, è utilizzato come tela pittorica, su cui il pittore Eugenio Carmi proietta forme colorate dai toni morbidi che, come evidenziatori, catalizzano l’attenzione su punti diversi del corpo: curve, forme e sinuosità, tutto è costruito con un elegante richiamo alle composizioni astratte che sono al centro della sua ricerca pittorica. Cerati CARLA CERATI dalla serie "Forma di donna", 1972 La ricerca di Carla Cerati parte da un’indagine sulla metamorfosi del corpo. I ritratti di nudi svelano il suo guardo di donna che osserva attentamente e per frammenti il corpo femminile studiandone e inquadrandone le forme da diversi ed estremi punti di vista. L’occhio di una donna verso un’altra donna in questo caso favorisce un racconto sensibile, rispettoso ed empatico, in contrasto con una tradizione che vede la donna come oggetto dello sguardo maschile. Si intuisce, in questa ricerca, una trasformazione dell’immagine sociale e culturale del corpo e un rinnovato accordo tra la fotografia e l’arte delle Neoavanguardie: dalla gestualità alla performance. Gioli PAOLO GIOLI Nudo telato, 1979 Il busto di nudo femminile si allunga all’indietro verso uno sfondo nero. C’è grande classicità nella posa e nel tessuto che vela e nasconde il corpo come in un affresco di età romana. Sopra l’emulsione fotografica della Polaroid viene posto un pezzo di seta che, impressionato, diventa sinopia dell’immagine come una trama leggera e trasparente. Per Paolo Gioli il corpo è terreno di un racconto di tipo esistenziale che unisce indagine erotica e psicologica, e al tempo stesso è un tema di profonda sperimentazione delle caratteristiche materiche del materiale Polaroid. Krims LESLIE KRIMS dalla serie Untitled (Fictions), 1968 - 1970 Le fotografie di Leslie Krims ci raccontano piccole messe in scena di tono onirico, che ci appaiono come flashback di un sogno/incubo, situazioni surreali che ci destabilizzano, spingendoci ad approfondire la storia nascosta nel visibile. Si tratta di piccole rappresentazioni, irriverenti e provocatorie, cariche di sorpresa e ilarità, nelle quali il corpo viene spesso messo in scacco dal fotografo stesso. La composizione è satura di oggetti, personaggi, messaggi, inquietudini, un autentico quadro nel quadro dove l’associazione di immagine/testo nell’opera sottolinea l’ironia della vicenda. Mattioli PAOLA MATTIOLI Autoritratto, 1977 La silhouette di un busto di donna sospesa nell’aria con sfondo neutro rappresenta l’esperienza dell’autoritratto per Paola Mattioli. Fotografarsi è per lei un momento di interrogazione, di ricerca della coscienza di se stessa e insieme di ‘verifica’ dell’uso dello strumento fotografico. Il ritratto di Paola Mattioli è appeso a un filo, fluttuante nello spazio con un segno grafico calato dall’alto segnato a matita sulla fotografia stessa. neussus FLORIS NEUSÜSS O.T. Fotogramm, 1962-1969 Corpi femminili, delicate silhouette danzano su carte fotografiche di grande formato, sopra cui il fotografo sperimenta la magia della fotografia realizzata senza uso di macchina fotografica. Floris Neusüss ha dedicato gran parte della sua ricerca al fotogramma, realizzandone una serie a grandezza naturale chiamata anche nudogrammi. È in immagini come queste che performance e fotografia si fondono. Vogt CHRISTIAN VOGT "You don't see it, if you don't know it." Christian Vogt sceglie una struttura del racconto-sequenza per allestire brevi e silenziose storie intorno al corpo che si svolgono in una dimensione temporale sospesa e dilatata, lontana dalla quotidianità. Una donna entra attraversando una porta nera e si avvicina, come in un fotomontaggio, o in una scena di un film, con un’inquadratura in soggettiva verso l’occhio di chi la guarda. La rappresentazione dello spazio e del tempo avviene con immagini enigmatiche e oniriche.

OMAGGIO A GABRIELE BASILICO

MUFOCO EDUCATIONAL OMAGGIO A GABRIELE BASILICO Glasgow 1969 Glasgow, 1969 Uno dei primi lavori di Gabriele Basilico, ancora giovane studente di architettura, è stato Processo di trasformazione di una città, frutto di un unico rullino, pochi fotogrammi che raccontano un quartiere di Glasgow, in Scozia, che stava per essere demolito. Fu quel viaggio a segnare l’inizio della sua carriera di fotografo: Basilico cammina per le strade della periferia scozzese incontrando bambini e ragazzi, condivide con loro un dialogo, un gioco, un sorriso, la messa in posa prima dello scatto. La strada diventa il fil rouge, sono fotografie che dimostrano un’attenzione all’aspetto sociale, all’attimo e al movimento, con stile molto diverso da quello che lo farà conoscere in tutto il mondo come uno dei massimi interpreti della fotografia di architettura. Quando Basilico tornò a Milano mostrò il lavoro a Lanfranco Colombo, che gli dedicò immediatamente una mostra alla sua galleria milanese Il Diaframma. Fu la sua prima mostra. Quarto Oggiaro 1969 Milano. Quarto Oggiaro, 1970-1973 Questa fotografia è scattata da Gabriele Basilico all’inizio della carriera, in quello che era allora uno dei più difficili quartieri popolari di Milano, caratterizzato da un’esplosione edilizia e da grandi tensioni sociali. Realizzata con un linguaggio ancora fortemente legato alla tradizione del reportage, testimonia una forte tensione sociale e un interesse per la forma urbana che nel corso degli anni successivi avrebbero trovato forma più compiuta nei grandi progetti documentari, espressione di un personale metodo di lettura delle città e del paesaggio, nel suo cambiamento dall’era industriale a quella post-industriale. Milano, 1970-1973 Milano, 1970-1973 Una Milano insolita, lontana dall’idea di metropoli e dalla frenetica vita della città, una Milano silenziosa, vuota. Realizzata agli esordi della carriera, in un periodo di formazione in cui sono ancora molto forti le influenze del linguaggio prevalente del momento, il reportage, questa fotografia presenta già alcuni elementi che caratterizzeranno le ricerche più mature dell’autore, come l’interesse per lo spazio urbano e per i volumi degli edifici. In questo caso è lo spigolo del muro a strutturare l’immagine con decisione, dividendola in due metà, mentre nel centro la freccia di un cartello stradale punta verso l’alto in un punto non definito del cielo, lasciando aperte infinite possibilità di visione. In pieno sole In pieno sole, 1978 La pelle del nostro corpo è sensibile alla luce e reagisce scurendosi alla sua esposizione con un processo analogo a quello della fotografia. Così, se una stoffa copre una porzione di corpo, la parte scoperta rimarrà impressionata, proprio come avviene alla carta emulsionata. Gabriele Basilico, noto fotografo di architettura e paesaggio, negli anni Settanta affronta questo insolito tema con ironia e senso del grottesco: il corpo, abbronzato e unto da creme solari, diventa oggetto plastico e foto-sensibile. Contact Contact, 1978 A metà degli anni Settanta, partecipe di una riflessione su industria e design, Gabriele Basilico utilizza la fotografia per affrontare il tema del rapporto tra oggetto e corpo, focalizzando la sua attenzione sull’idea di ‘traccia’ come segno di contatto, dal punto di vista figurativo e simbolico. Queste immagini dal tono ironico, in contrasto con la rigorosa strutturazione del punto di vista zenitale, mostrano attraverso una serie di dittici le impronte precise, ben visibili, lasciate dalle texture di varie sedute sui corpi con cui entrano in contatto, come un tatuaggio provvisorio, un bassorilievo, un calco. Le inquadrature dall’alto, strette sugli oggetti d’indagine, evidenziano la relazione che intercorre tra sedute e sederi. Dancing in Emilia, 1978 Dancing in Emilia, 1978 Dopo una prima ‘ricognizione’ lungo la via Emilia alla scoperta delle architetture dei moderni dancing che stavano sostituendo le ormai invecchiate balere, Gabriele Basilico torna ripetutamente nei luoghi dedicati al ballo per raccogliere ritratti e scene in cui sono protagoniste le persone, piuttosto che gli edifici: coppie, giovani, gruppi, dj, ballerine e presentatori sono sorpresi dalla luce chiara del flash, che illumina la scena lasciando poco spazio a ciò che sta intorno. Caratterizzate da un linguaggio leggero, ironico e affettuoso, le fotografie di Basilico compongono lo spettacolo di un fenomeno antropologico fiorente, che trova esito nella prima pubblicazione dell’autore, Dancing in Emilia, del 1981. Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-1980 Milano. Ritratti di fabbriche, 1978-1980 É una giornata tersa del weekend di Pasqua del 1978 quando Gabriele Basilico inizia il celebre progetto Ritratti di fabbriche, “un catalogo di immagini della periferia milanese che presenta una ricomposizione visiva di un paesaggio urbano poco noto”, come lui stesso afferma. Con un approccio sistematico di catalogazione, influenzato dalla ricerca sull’archeologia industriale dei coniugi Becher, carta topografica alla mano, il fotografo si dedica ad una mappatura delle fabbriche della città, proprio nel momento in cui Milano vive un processo di de-industrializzazione. La luce, elemento fondamentale della ricerca, genera ombre profonde che definiscono gli edifici permettendo alle architetture di manifestarsi nella loro concretezza ed essenza; la fabbrica si dematerializza per trasformarsi in un disegno di linee e forme, contrasti di bianco e nero mediati da uno sguardo lento, riflessivo, puro e geometrico che, da qui in poi, caratterizzerà lo stile inconfondibile di Gabriele Basilico. . Boulogne-sur-mer. Mission Photographique de la DATAR, 1985 Boulogne-sur-mer, 1985 Nel 1984 il governo francese avvia un importante progetto di documentazione sulle trasformazioni del territorio, la Mission Photographique de la DATAR: Gabriele Basilico viene invitato a partecipare come unico italiano insieme ad altri 27 fotografi provenienti da tutto il mondo. E’ per lui il primo grande riconoscimento internazionale. Lavora sulla costa nord-occidentale della Francia, osservando con sguardo nuovo, lento, gli ampi paesaggi fatti di cielo, vento, nubi e mare, scoprendo il fascino delle grandi vedute. Così afferma: “L’incarico (...) ha determinato un mio nuovo atteggiamento contemplativo verso il paesaggio, come a voler cogliere nell’immagine tutti i particolari, fino alla complessità delle cose che, a una minuziosa osservazione, il paesaggio poteva restituire.” Le fotografie realizzate per questa committenza sono poi sfociate nella pubblicazione di Bord de Mer (1990). Beirut, 1991 Beirut, 1991 Nel 1991 Gabriele Basilico viene coinvolto, insieme ad altri 5 maestri della fotografia internazionale, in un progetto di documentazione fotografica dell’area centrale della città di Beirut, capitale libanese devastata da una guerra, appena terminata. L’obiettivo era di riuscire a raccontare lo ‘stato delle cose’ di quel momento, perché le immagini potessero contribuire a costruire la memoria storica della città. Il fotografo afferma: “La città sembrava affetta da una malattia della pelle, spaventosa, che stava a sottolineare l’assurdità di qualsiasi guerra. Non mi sono fermato a questa impressione, ma ho cercato di immaginare la città nella sua forma originaria, pronta a riprendere la vita interrotta.” Basilico inizia così un’esplorazione sistematica dello spazio, restituendo una visione strutturale della città, capace di suggerire una condizione architettonica di normalità pur nell’assurda devastazione causata dalla guerra. Sesto San Giovanni, 1992 Sesto San Giovanni, 1992 Per Gabriele Basilico le città sono il frutto dell’opera dell’uomo, il risultato delle trasformazioni sociali ed economiche dell’epoca industriale e post-industriale. Il suo lavoro sulle aree urbane, sulle trasformazioni del paesaggio contemporaneo, si inserisce con coerenza nell’ambito del progetto di committenza Archivio dello Spazio, un’articolata documentazione del territorio della provincia di Milano realizzata da 58 fotografi italiani tra il 1987 e il 1997. Nelle aree occupate dalle ex-acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, Basilico fotografa gli edifici fino a poco tempo prima centro della produzione dell'impresa. In quest’immagine, la strada, la cisterna e la torre dell’acqua si inseriscono come sculture nel paesaggio, definite da uno squarcio di luce, con un immediato richiamo ai soggetti dei paesaggi industriali dei coniugi tedeschi Bernd e Hilla Becher. Milano, 1998 Milano, 1998 Gli edifici a torre nei pressi del quartiere Lorenteggio si stagliano netti e imponenti sullo sfondo dell’immagine, una scacchiera di grigi ne definisce la loro imponenza, i volumi architettonici sono chiari e aiutano a delineare la profondità dei piani. Gabriele Basilico torna a misurarsi con la sua città in occasione di Milano senza confini, una committenza promossa dalla Provincia di Milano nel 1998-1999 e affidata a 10 artisti italiani ed europei, intesa come ideale completamento delle campagne fotografiche di Archivio dello Spazio. Il suo lavoro su Milano inizia con rigore di osservazione, contemplazione, con una ricerca sulla distanza, sulla misurazione continua per trovare un equilibrio tra ‘un qui e un là’, quasi a riordinare lo spazio cercando un senso di identità del luogo. I temi del paesaggio antropizzato, della stratificazione urbana, della marginalità, delle periferie e delle aree in ridefinizione sono per il fotografo una continua ricerca per raccontare una nuova identità della città in continua e veloce trasformazione.

IERI OGGI MILANO

MUFOCO EDUCATIONAL IERI OGGI MILANO Petrelli TINO PETRELLI Milano, 26 Aprile 1945
Ragazze aggregate a gruppi di partigiani in Via Brera
Spesso, nelle fotografie di reportage di Tino Petrelli convivono due racconti, l’uno legato alla vicenda storica in atto e l’altro alle persone rappresentate. È il 26 aprile del 1945, il giorno seguente la Liberazione della città dai nazifascisti e i combattenti partigiani escono in strada. In primo piano tre donne imbracciano il fucile e camminano guardando avanti. Non c’è violenza, la determinazione accompagnata da gonne, camicette, soprabiti, ci restituisce un’immagine di fierezza e orgoglio femminile. Gli uomini seguono, pochi metri dietro.
Patellani FEDERICO PATELLANI Milano, 1945 Testimone della ricostruzione nell’immediato dopoguerra, Federico Patellani ci racconta con sguardo leggero la storia di un uomo e una donna che camminano tenendosi sotto braccio in una strada della periferia di Milano, come in una scena di un film neorealista. In un ritorno alla normalità vengono verso di noi che li guardiamo, lasciandosi indietro le ombre congiunte che ci portano ad un uomo solo, vicino al muro, che procede nella direzione opposta. I due sono immersi in una conversazione, forse semplicemente innamorati, come in un’altra epoca. Monti PAOLO MONTI Muro a Milano, 1954 Negli anni ’50 Milano è ancora una città che porta dentro di sé i segni della guerra conclusasi da poco. Paolo Monti, con occhio instancabile verso l’osservazione della materia, sceglie un’inquadratura chiusa, restituendoci un’immagine bidimensionale, che lascia poco spazio alla comprensione del contesto circostante. Ciò che vediamo sono un muro e una porta rovinati e scrostati, macerie simbolo delle ferite della città come pelle di un corpo violato. L’occhio non può che scrutare senza sosta ogni dettaglio per decifrare l’indecifrabile. Berengo GIANNI BERENGO GARDIN Casa di ringhiera, anni 70 Queste immagini di Gianni Berengo Gardin rivelano la sua grande abilità a comunicare da vicino la vita quotidiana. In questo caso, sentiamo di essere presenti quando racconta le case di ringhiera, di una vita condivisa, che passa sui balconi e comunica tra i piani. La ricchezza della semplicità è dentro e fuori dalle case, tra uomini e donne di ogni età, si riversa sui ballatoi dove gli stracci stesi della vita quotidiana si mischiano all’arte, nei quadri appoggiati sul davanzale e nelle canzoni improvvisate, come su un palco. I piani visibili sono soltanto due, ma infiniti sono quelli immaginabili, che proseguono sopra e sotto creando giochi di relazione poco prevedibili. Cattaneo MARIO CATTANEO Luna Park, 1955-1965 Gli anni ’60 sono in Italia gli anni di una ritrovata serenità dei quali Mario Cattaneo si fa narratore poetico e genuino. Questa immagine scattata al Luna Park è piena di linee, disegni, scritte, materiali e forme che si intersecano in un complicato gioco grafico, nel quale l’occhio si muove vorticosamente fino a trovare riposo nello sguardo del ragazzo in piedi al centro della scena che non si sta rivolgendo alla ragazza seduta, ma ad una terza figura, donna anch’essa, della quale intravediamo solo i piedi sul margine sinistro. Così usciamo dall’inquadratura e lasciamo spazio all’immaginazione. Lucas ULIANO LUCAS Piazza Duca D’Aosta, Milano 1968 Nell’opera di Uliano Lucas il reportage si mescola con l’impegno sociale. Il punto di vista così ribassato ci restituisce un’immagine potente, icona dell’immigrazione dal Sud dell’Italia a Milano. Il senso simbolico profondo di questa fotografia è generato dalla relazione tra il soggetto in primo piano, fermo e spaesato, che regge una valigia e una scatola di cartone tenute insieme dallo spago, e il massiccio grattacielo Pirelli che lo sovrasta, come un grande peso che incombe sulle sue spalle. Una metafora di lavoro e potere, nella quale l’uomo è l’ingranaggio che permette alla grande macchina di muoversi? Nocera ENZO NOCERA Pirelli, stabilimento Bicocca
Laboratorio prove cavi, 1976
Famoso ritrattista, Enzo Nocera entra negli stabilimenti della Pirelli per fotografare gli operai nel loro luogo di lavoro. Queste immagini ci raccontano l’importanza di essere un gruppo, di condividere giorno dopo giorno la fatica del quotidiano, la fierezza di essere parte di una fabbrica. Uno scatto programmato, posato, che per qualche momento interrompe la produzione, congela il fitto lavorio e i rumori della fabbrica, per concedere anche agli uomini e alle donne che a volte sono solo un numero, un po’ di vanità.
Colombo CESARE COLOMBO Assemblea degli studenti del Politecnico
Milano, 1968
Basta uno sguardo per ritrovarsi in piedi davanti all’università, partecipi dell’assemblea studentesca che scalda gli animi politici dei giovani sessantottini. Una fotografia di reportage funziona proprio se ci rende protagonisti e non spettatori. E in questo Cesare Colombo è maestro: lui è parte di un avvenimento e noi con lui, con gli stessi elementi di disturbo, la fatica di vedere chi sta parlando, le mani di sconosciuti che si alzano davanti. Non importa se l’inquadratura non è curata, l’orizzonte storto, se non rispetta alcuna regola di armoniosa composizione, ciò che importa è esserci.
basilico GABRIELE BASILICO Milano. Ritratti di fabbrica, 1978-1980 Lo sguardo si fa lento, riflessivo, puro e geometrico nello stile inconfondibile di Gabriele Basilico. La fabbrica si dematerializza per trasformarsi in un disegno di linee e forme, contrasti di bianco e nero. Eppure qualcosa, sempre, dà tridimensionalità e concretezza all’immagine: in questo caso una grande ombra che oscura tutta la strada e il marciapiede davanti all’edificio bianco. È il volume della città dietro di noi, la stessa città di cui la fabbrica, nella periferia, delimita i confini mentre l’ombra di un lampione, sulla destra dell’immagine, rompe il ritmo lineare delle finestre. Nocera ENZO NOCERA Lanfranco Colombo, "Gente di Brera", 1981 Milano è fatta di persone, lavoratori che operano nella città o intellettuali e artisti che portano avanti idee e pensieri nel sostrato della scena culturale urbana. I ritratti in studio di Enzo Nocera ci riportano ad una visione classica, mettono al centro l’uomo e la sua personalità, spesso legata alla professione. Ritratti in posa con le luci ben curate e uno sfondo neutro ma caratteristico, dipinto a grezze pennellate: i volti della Gente di Brera sono le testimonianze dell’identità storica del quartiere che proprio in quegli anni si sta trasformando, per diventare così come lo conosciamo ora. Ziliani GIOVANNI ZILIANI Pensieri di figure, 1984 Le scale della metropolitana sono il luogo di transito per eccellenza: le persone si muovono veloci, passano, nessuno lì si ferma, perché il luogo è funzionale solo a raggiungere un altro luogo. Giovanni Ziliani, pittore di formazione, sperimenta nelle sue fotografie un tempo di posa di qualche decimo di secondo, lungo per gli standard della fotografia, che ci impedisce di riconoscere i volti di quelle persone, facendole apparire, a causa del mosso, più come dei fantasmi che come uomini e donne. È così che l’individuo scompare, si fonde nella massa diventando parte di un flusso ininterrotto di persone anonime. Mangano TANCREDI MANGANO "In urbe", 2001 Camminando per le strade della città è raro che l’occhio si posi sulle piantine che crescono tra il cemento. Eppure Tancredi Mangano, in questa serie, restituisce loro la dignità persa e ci permette di osservarle, facendoci così scoprire con stupore una natura minore di varietà incredibile. Il verde salta all’occhio, staccandosi dal grigio dello sfondo, dove muri e strade sono vinte, seppur in un piccolissimo spazio, dalla natura che irrompe. I titoli delle immagini, con i nomi latini come in un erbario, ci riportano alla botanica e ad un più alto studio scientifico delle varietà vegetali. Castella VINCENZO CASTELLA "Milano 1998" In questa immagine di Vincenzo Castella la città diventa una sedimentazione di strati verticali, i palazzi hanno tra loro distanze e relazioni strutturali che costituiscono la rappresentazione stessa del luogo. L’inquadratura non lascia spazio al paesaggio urbano, chiudendosi sulla piccola porzione di spazio visibile dalla finestra di una casa. Lo sguardo incontra subito altri edifici, la griglia fuori fuoco in primo piano e l’uniformità dei cromatismi ci fanno sentire bloccati in una città che ci trattiene a sé. FW FISCHLI & WEISS "Untitled (Milano Duomo)", 1992-2000 Milano vista dal Duomo, anziché il Duomo visto da Milano: è così che la coppia di artisti svizzeri Peter Fischli e David Weiss ha deciso di raccontare la città. Le alte guglie, indizi preziosi per determinare il luogo da cui la fotografia è stata scattata, svettano in primo piano nell’immagine così come gli edifici emergono dalla città, in un richiamo di elementi verticali. Il cielo rossastro del tramonto si fonde con la foschia e ci parla di una Milano messa a nudo, colta quasi di sorpresa, senza essersi potuta prima sistemare per l’occasione. Struth THOMAS STRUTH "Mailand 1998" La monumentale solennità del Duomo, simbolo e cuore di Milano, si presenta in pieno davanti ai nostri occhi in questa fotografia di grande formato (135x160 cm). Thomas Struth, fotografo rigoroso di grandi opere architettoniche, adotta un punto di vista frontale, rialzato da terra ed esclude dall’inquadratura decori e guglie superiori dell’edificio. L’immagine che ne risulta è densa, quasi da schiacciare le piccole e colorate persone che, come a sdrammatizzare la sua imponenza, compaiono nella fascia inferiore. Barbieri OLIVO BARBIERI "site specific_milano 09", 2009 È con una veduta aerea, caratteristica di molte sue opere, che Olivo Barbieri ci mostra il nuovo palazzo sede di Regione Lombardia. Da questo punto di vista inusuale l’immagine ci rivela una forma primordiale non visibile dalla città e da nessun altro luogo di essa. Il grande formato e il bianco e nero (atipico per una fotografia così contemporanea nel soggetto e nel linguaggio) ci invitano a scrutare ogni dettaglio, facendoci scoprire una moltitudine di particolari, nel lavorio per la grande opera ancora in costruzione. Hanninen GIOVANNI HÄNNINEN 29 backstage, Teatro alla Scala, Milano
from "La Scala, backstage", 2014-2015
Giovanni Hänninen ci porta alla scoperta del Teatro alla Scala attraverso un polittico di immagini. La Scala, simbolo della cultura milanese, si mostra nella sua raffinatezza. La staticità della scena, resa tale dall’assenza di attori sul palco e spettatori seduti, è rotta soltanto dalle quinte in movimento. Vera protagonista della fotografia è l’eleganza dello spazio, le raffinate decorazioni in oro e avorio, il velluto cremisi del sipario e il damasco rosso di seta dei palchi.
basilico GABRIELE BASILICO Milano, 2008 Gabriele Basilico ci mostra la città a colori come un corpo vivo: il tessuto urbano è la pelle, le strade sono solchi che disegnano vie sinuose, dove le macchine o i mezzi di cantiere si muovono come il sangue scorre nelle vene. Il vecchio deve far spazio al nuovo in una fase di transizione inevitabile. Appena sotto i cartelloni pubblicitari, sui pannelli che delimitano le zone di cantiere, si intravede la scritta Milano si mostra, che ci guida alla scoperta di altre immagini realizzate nei mesi precedenti dallo stesso Gabriele Basilico con il suo classico linguaggio. campigotto LUCA CAMPIGOTTO Milano, 2014 Dopo anni di rivolgimenti, scavi, cantieri, modifiche della viabilità e betoniere all’opera, tutto sembra pronto: la città è compiuta. Luca Campigotto, fotografo di paesaggio e di architettura, è pronto a cogliere in uno scatto la nuova identità di Milano. Il sole scende, si accendono le luci e lo spettacolo va in scena, come un presepe laico contemporaneo che incanta chi lo contempla.

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