REFOCUS #2
Open call per progetti fotografici nell’Italia del post-lockdown
promossa da
Direzione Generale CreativitĂ Contemporanea del MiBACT
in collaborazione con
Museo di Fotografia Contemporanea e Triennale Milano
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Presentazione dei 20 fotografi vincitori di REFOCUS #2
MercoledĂŹ 2 dicembre 2020, ore 18.30
Con Michele Smargiassi (giornalista), Matteo Piccioni (storico dell’arte MiBACT-DGCC), Matteo Balduzzi (curatore MUFOCO) in dialogo con i fotografi vincitori.
Guarda la registrazione sulle pagine Facebook Direzione Generale CreativitĂ Contemporanea e Museo di Fotografia Contemporanea e sul canale YouTube del Museo.
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Selezionati i fotografi vincitori
Tra le 245 candidature giunte da tutta Italia, venti progetti fotografici hanno saputo meglio raccontare la societĂ italiana durante il periodo immediatamente successivo alla quarantena vissuta la scorsa primavera.
La totalitĂ delle candidature, omogenee per paritĂ di genere e per fasce di etĂ , è stata esaminata da una Commissione di esperti cosĂŹ composta: Matteo Balduzzi, curatore del Museo di Fotografia Contemporanea; Paolo Castelli, storico dellâarte, funzionario DGCC-MiBACT; Paola Di Bello, artista e direttrice del biennio specialistico di fotografia presso lâAccademia di Belle Arti di Brera; Davide Giannella, curatore indipendente; Elio Grazioli, critico dâarte contemporanea e docente presso lâUniversitĂ degli Studi di Bergamo.
La Commissione, riunita in sessione plenaria nelle giornate del 13 e 16 novembre 2020, ha tenuto conto sia dellâesperienza formativa documentata dal curriculum che della qualitĂ del portfolio, ma ha valutato soprattutto la qualitĂ della proposta progettuale presentata in relazione allâoriginalitĂ dellâidea di ricerca, oltre allâeffettiva realizzazione visiva.
I FOTOGRAFI
Fulvio Ambrosio (Napoli, 1986)
Nel suo lavoro psicoanalisi e fotografia si intrecciano, ibridandosi ed ispirandosi a vicenda; la costante ricerca di punti di incontro tra questi due mondi ha l’obiettivo di produrre rappresentazioni dei contenuti inconsci attraverso l’indagine visiva. Vive e lavora a Napoli.
LA CURA
Riavvicinarsi dopo essere stati lontani. Una fantasia di cura, un desiderio di riavvicinamento. Durante il lockdown per avere cura delle persone amate bisognava essere distanti. Dopo, il desiderio piÚ forte è stato quello di tornare immediatamente in contatto, di ritrovare una fisicità per troppo tempo sostituita da surrogati informatici.
Ho voluto curarmi di mia nonna dopo essere stati distanti, lâho fatto nel modo in cui ero abituato: standole vicino e tenendole le mani. Ci siamo seduti l’uno di fronte allâaltra e ho attivato una piccolo apparecchio fotografico che avevo fissato sul mio petto. La macchina scattava una immagine ogni cinque secondi, automaticamente, senza fare alcun suono e senza bisogno di premere il pulsante di scatto. Potevo cosĂŹ avere le mani libere per interagire con lei, non essendo occupato a tenere in mano lâapparecchio, a inquadrare o scattare. Ci siamo concentrati sullo stare insieme, sul contatto che mettevamo in scena e sui cambiamenti che avvenivano nella nostra interazione. Credo che la mia cura sia fatta di affetto, di prossimitĂ .
Giacomo Bianco (Mestre – VE, 1994)
Laureando al corso di Fotografia presso lâISIA di Urbino, è assistente al fotografo Matteo De Mayda e atelierista presso la Fondazione Bevilacqua La Masa (VE). Sta lavorando a un progetto sul territorio lagunare, nel quale, ipotizzando un inabissamento della cittĂ di Venezia, indaga e utopizza una civiltĂ futura postumana.
ESSERE ANFIBIO (dalla serie UMANALACUNA)
Per la maggior parte delle persone la fruizione tecnologica in questo periodo è radicalmente mutata: lo schermo è divenuto una finestra che ha permesso un contatto virtuale con il mondo esterno. A Venezia, rinchiuso allâinterno di un palazzo del centro storico, il lockdown mi ha automaticamente precluso ogni contatto fisico e fatto perdere qualsiasi familiaritĂ con lâecosistema lagunare, inducendomi altresĂŹ a osservarlo in maniera differente. Attraverso le webcam subacquee della Piattaforma Oceanografica Acqua Alta del C.N.R. ho cercato, infatti, di mantenere il rapporto con il mondo marino reale. Tornati alla ânormale quotidianitĂ â, ho voluto ritrovare questo rapporto in ogni sua forma con azioni forti, concrete. Immergendoci in acqua siamo voluti diventare Laguna, abbiamo manifestato il bisogno represso di ricongiungerci impetuosamente con il reale. Ci siamo interconnessi con la Natura per necessitĂ e per paura di non poter piĂš essere in grado di farlo, accompagnati dallâinquietudine di rimanerne esclusi ancora una volta. CosĂŹ, siamo riusciti a vivere in due ambienti diversi, acquatico e terrestre, reale e virtuale.
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Alessandro Calabrese (Trento, 1983)
Dopo la laurea in Architettura allo IUAV di Venezia, ottiene un Master in Photography and Visual Design presso NABA, Milano. Docente presso lâAccademia Carrara di Belle Arti di Bergamo e NABA, Milano. Il suo lavoro è stato esposto in diverse realtĂ europee e italiane, tra le altre: Foam/Amsterdam, Maxxi/Roma, Mart/Rovereto, Palazzo Reale/Milano, Artissima/Torino, Arte Fiera/Bologna, Unseen/Amsterdam . E’ rappresentato dalla galleria Viasaterna e cura la programmazione di Condominio, Milano.
WELCOME STRANGER
in collaborazione con Ilaria Tariello
Le prime descrizioni cliniche della sindrome della capanna risalgono al 1900, epoca della corsa allâoro negli Stati Uniti. I cercatori erano costretti a passare mesi interi allâinterno di una capanna e lâisolamento faceva sentire i suoi effetti: rifiuto di tornare alla civiltĂ , sfiducia nei confronti del prossimo, perdita di memoria, stress e ansia. Il quadro sintomatologico della Cabin Fever ben si adatta allâattuale situazione del post lockdown, come si può riscontrare, proprio in questi ultimi mesi del 2020, tra la popolazione mondiale. Il disturbo viene affrontato sia in chiave allegorica, sia attingendo da immagini pre esistenti e realizzandone ex novo. Seguendo la pista che mi ha portato concettualmente nell’America a cavallo tra XIX e XX secolo, il progetto presenta alcuni screenshot e testi tratti dal film di Charlie Chaplin âThe Gold Rushâ (1925), successivamente colorati attraverso l’utilizzo di un programma che grazie al âdeep learningâ attribuisce automaticamente dei colori alle fotografie in bianco e nero, come a mimare quanto accadeva in fotografia con la colorazione a mano prima dell’avvento del colore. Inoltre alcuni still-life di agglomerati di poliuretano rievocano, anche nelle modalitĂ di rappresentazione, quelle pepite dâoro che sono state motivo di tanti sforzi per gli avventurieri del periodo. Welcome Stranger è allo stesso tempo il nome della piĂš grande pepita d’oro mai trovata, il titolo di questo lavoro e una sorta di augurio, affinchĂŠ si possa tornare presto ad accogliere e incontrare l’altro senza timore.
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Mara Callegaro (Varese, 1994)
Studia Arti Visive presso lâAccademia di Belle Arti di Brera e successivamente Fotografia presso il Cfp Bauer. Vive e lavora a Milano, dove porta avanti la sua ricerca con un approccio multidisciplinare. Eâ assistente di Francesco Jodice e assistente alla docenza presso NABA â Nuova Accademia di Belle Arti di Milano.
20âs SPECIAL
La prossimitĂ mi suggerisce gittate di visione compresse: oculi che vagano in 50 mq, Grand Tour di paesaggi domestici. Il mondo in una stanza, azzarderebbe Gino Paoli. 20âs Special si propone come un insieme di configurazioni urbane, ricreate con elementi casalinghi allâinterno di uno spazio abitativo. Strutture vacillanti, architetture in bilico come emblema della condizione di fragilitĂ e provvisorietĂ vissuta dal Paese e dai nostri animi. Con una punta dâironia, mi sono immaginata unâedizione speciale di francobolli a suggello di questa annata (e del futuro?) allâinsegna dellâincertezza e della segregazione. Unâevocazione vaga e in scala ridotta del Bel Paese, un esercizio di catalogazione che fa eco, in modo esplicitamente sardonico e smaccato, allâopera iniziata dai Fratelli Alinari.
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Sofiya Chotyrbok (Ucraina, 1991)
Ucraina, napoletana di adozione, studia fotografia a Milano presso il Cfp Bauer. La sua ricerca è incentrata sul tema dellâidentitĂ nella societĂ post-Âsovietica e sullâarchivio come memoria intima e domestica, trasformata in materia umana universale mediante fotografia, video e stampa su tessuto. I suoi lavori sono stati esposti in importanti festival internazionali (Parigi, Reggio Emilia, Chicago).
GESTI
Il termine gesto è da ricondursi etimologicamente al verbo latino gerere, letteralmente compiere. Eâ la base della comunicazione umana, capace di valicare lingue e distanze. La pandemia in corso ha generato un improvviso black-Âout nella sfera gestuale che ha cancellato ogni tipo di contatto, incrinando le relazioni sociali per relegarci in una condizione forzata di solitudine. Gesti nasce come esigenza di indagare tutto ciò che non può essere compiuto, quel vuoto generatosi fra il prima e il dopo. Eâ un processo che pone lâattenzione sulla fisicitĂ delle relazioni quotidiane e sugli effetti scaturiti dallâautocensura. La nostalgia (il famoso dolore del ritorno) mi ha portata a fissare delle piccole porzioni di una realtĂ passata, che ho decontestualizzato affinchĂŠ assurgessero a frammento di vissuto e insieme a termine di paragone rispetto a questa nuova dimensione quotidiana. Lâimperativo sociale del distanziamento diviene qui uno strumento per interagire con lâopera: lâimmagine è ingrandita fino a perderne leggibilitĂ e il fruitore è chiamato a fare alcuni passi indietro per coglierne la visione dâinsieme ed evocarne la memoria tattile.
Daniele Cimaglia (Roma, 1994) e Giuseppe Odore (Pompei – NA, 1995)
Conosciutisi all’interno dell’accademia RUFA, Rome University of Fine Arts, sono impegnati in una ricerca sperimentale sul mezzo fotografico. Il forte interesse per la societĂ contemporanea dal punto di vista antropologico li ha spinti a collaborare durante il periodo di quarantena. Sono impegnati in alcuni progetti tuttora in fase di sviluppo.
STORIE DELL’ABITARE
Guardando i nostri vicini cantare e suonare fuori dal balcone durante la quarantena ci siamo resi conto di non conoscere nessuno. Per farlo abbiamo invitato i condomini a farsi scattare un ritratto di famiglia. LâintimitĂ che viviamo nelle nostre case è solitamente celata dalle tende, lo scopo è stato di ricrearla ponendo le persone davanti ad esse. Il cortile è lo spazio collettivo in cui tutti avrebbero potuto creare condivisione e socializzazione, raccontando se stessi ed esprimendo i propri pensieri in prima persona su un foglio bianco. Durante le fasi di scatto abbiamo capito che non siamo i soli a esserci sentiti degli estranei nel vicinato. La frenesia della quotidianitĂ ci aveva portati ad ignorare la presenza di altri che vivevano in prossimitĂ . Lâutilizzo del mezzo fotografico come strumento per conoscerci ci ha fatto scoprire lâimportanza di vivere in una comunitĂ , di associare dei nomi ai volti delle persone che ci circondano, per sentirci meno soli e mostrarci piĂš umani. Il distanziamento sociale non implica vedere il proprio vicino come un portatore di un virus, ma come qualcuno su cui possiamo contare e affidarci.
Antonio Colavito (Gravina in Puglia – BA, 1995)
Abbandonato il mondo universitario decide di dedicare la sua carriera esclusivamente al campo della fotografia. Il suo lavoro incorpora spesso elementi geometrici e contrasti elevati. Predilige l’uso della fotografia in bianco e nero e concentra il suo interesse sul reportage sociale legato allâarchitettura.
IL VISIBILE E L’INVISIBILE
Il nemico è invisibile ma ha visibilmente piegato stili di vita e di consumo, cambiando forse per sempre il nostro modo di concepire il tempo, lo spazio, il lavoro. In questo alternarsi di presenze e assenze umane (sentite presenti, con lâurgenza della presenza) sullo sfondo industriale, ho documentato la riconversione delle linee di produzione di unâazienda del Sud Italia nata come produttrice di macchine taglia-spugna e reinventata produttrice di mascherine per salvaguardare fatturato e occupazione. Nel reportage presentato, celebro lâorgoglio della sua classe operaia che, nonostante la situazione in corso, non si è mai fermata.
Giulia De Gregori (Roma, 1994)
Laureata in Storia moderna e contemporanea alla Sapienza. Da sempre appassionata di fotografia, si interessa di archivi fotografici e svolge un tirocinio formativo presso CAMERA e presso l’ICCD. Nellâottobre 2019 si trasferisce a Bologna per frequentare il biennio di Fotografia dell’Accademia di Belle Arti.
NUOVA ARCADIA
Il progetto è una riflessione sul contemporaneo nata in relazione alla pandemia di Coronavirus, che ha costretto a casa il mondo intero portando numerosi cambiamenti nel nostro modo di vivere. Attualmente si ha la sensazione di trovarsi davanti a un punto di non ritorno: questo periodo ha infatti accelerato il giĂ rapido processo verso una vita digitale che coinvolge ora anche chi ne era precedentemente escluso. Alla maniera dei fotografi pittorialisti, ho dipinto i frammenti di una vita destinata a scomparire, un’esistenza caratterizzata da relazioni interpersonali, assembramenti, viaggi, attese, momenti di pausa e di frenesia. Le fotografie sono da intendersi come istanti che trascendono lo spazio-tempo e richiedono di soffermarsi con lo sguardo, rallentando un attimo, per essere studiate piĂš approfonditamente. Un lavoro che si pone a metĂ strada fra sentimento nostalgico e visione disincantata, consapevole delle possibilitĂ e dei cambiamenti che lo scorrere del tempo porta con sĂŠ.
Riccardo Dogana (Castiglione del Lago – PG, 1983)
Attivo da oltre quindici anni nel mondo dellâaudio-visivo, documentarista, arriva alla fotografia nel 2018, con 16/9 shots, curato da Francesca Seravalle. Nel novembre 2020, in collaborazione con la casa editrice livornese Origini edizioni pubblica il libro Panopticon, una selezione di macro-temi di questâultima decade (2010-2020).
WALLPAPERS
Un viaggio nellâItalia in piena pandemia, nelle camere destinate agli universitari sfitte, negli appartamenti vuoti in attesa dâesser affittati. Il progetto è in via di sviluppo, la casa è al centro di esso. Le case in affitto sono solo il primo tassello, il piĂš evidente da marzo a oggi, ma nei prossimi mesi e in quelli della post-pandemia il mercato della casa nel suo complesso muterĂ inevitabilmente. Secondo i dati di Immobiliare.it tra marzo e settembre 2020 lâofferta di case in affitto è aumentata del 14,2% nelle grandi cittĂ italiane, mentre la domanda è scesa del 13,2 %. Il caso piĂš notevole è quello di Milano, dove lâofferta di alloggi in affitto è aumentata del 68,7% nello stesso periodo: ci sono moltissimi appartamenti da affittare e nessuno che voglia farlo. La situazione peggiore, però, è quella degli affitti di stanze, ad agosto del 2020 la disponibilitĂ per studenti e lavoratori era aumentata del 149% rispetto a un anno fa. I dati piĂš significativi sono quelli di Milano e Bologna, due cittĂ universitarie, dove le stanze disponibili sono state rispettivamente il 290% e il 270% in piĂš.
Luigi Greco (Moncalieri – TO, 1998)
Fotografo e artista visivo, si è diplomato in fotografia allâIstituto Europeo di Design di Torino. I suoi progetti convergono verso un approccio multidisciplinare. Lâinteresse verso il linguaggio fotografico lo porta a indagarne le radici piĂš profonde.
MISSING RING
Il titolo si riferisce alla nota teoria parascientifica dellâanello mancante. Le fake news si propongono come anelli di congiunzione degli eventi che ci âseduconoâ perchĂŠ danno risposte semplici e complete su argomenti complessi. Queste notizie sono manipolate, distorte e spesso fuori dal loro contesto. Il progetto cerca di restituire questi concetti proprio nella forma delle immagini e nella loro manipolazione, come analisi e traduzione visiva di alcune fake news circolate durante la pandemia, volendo dare lâimpressione di star raccontando una storia. Le immagini, di varia natura (dallâarchivio, alla manipolazione, all’uso del 3D) vorrebbero restituire un immaginario distopico di una mentalitĂ “complottista”. Il clima negativo del progetto, a tratti esteticamente buffo, è stato in parte âimpostoâ dalla natura delle fake news trattate. Alcune di queste, anche al limite del ridicolo, rimangono pericolose. CosĂŹ il virus viene creato in laboratorio, la cittĂ si copre di propaganda e ci si prepara ad una guerra contro un nemico che non conosciamo.
Claudio Majorana (Catania, 1986)
Claudio Majorana vede nella fotografia un mezzo per comprendere meglio la propria adolescenza e quella degli altri. La possibilità di capire chi siamo e chi siamo stati. Nel 2018 pubblica Head of the Lion, libro che racconta sei anni della vita di otto ragazzini cresciuti nella periferia siciliana. Dal 2018 lavora con Arianna Arcara al progetto Ciao vita mia, sul quartiere Librino a Catania. Dal 2020 è membro di Cesura.
ALL THE THINGS THAT SEEMED SO IMPORTANT
Il lavoro racconta le lunghe giornate estive di un gruppo di ragazzini che, dopo i mesi trascorsi in casa, decidono di riunirsi per costruire un rifugio segreto lungo le rive di un torrente. Da subito questo luogo diventa un posto per il tempo con se stessi e con gli amici. Uno spazio riservato per i segreti e per i propri pensieri. Una barriera tra loro e il mondo degli altri. Confinati nel luogo da loro scelto, trascorrono liĚ alcune settimane fincheĚ, come in ogni fuoco adolescenziale, la fiamma dellâinteresse si raffredda per spostarsi verso altri orizzonti, momenti e avventure.
Luca Marianaccio (Agnone – IS, 1986)
Nel 2016 è tra i vincitori del XVIII Premio Aldo Nascimben. Il suo libro Spin-off nel 2018 viene premiato al Premio Marco Bastianelli e allâUnveilâd Photobook Award. Nel 2019 404 Not Found viene premiato al Riaperture Fotofestival, al Premio Giovane Artisti della Galleria San Fedele, allâUnpublished Photo ed esposto al Festival di Fotografia Europea. Nel 2020 eĚ tra gli artisti scelti per TIP Emerging Talent e vince il I Premio Giovanni Gargiolli.
EFFETTO FARFALLA
Un sistema di riferimento definisce attraverso coordinate la rappresentazione di una mappa. Si può avere una vista dâinsieme senza la conoscenza approfondita dei singoli elementi? Il singolo, lâunitaĚ. Mai come prima lâuomo ha avuto un potere cosiĚ grande, il suo destino eĚ legato al suo comportamento, allâintelligenza ed al senso civile. Rappresentare un territorio, per me sconosciuto, che convive con un male invisibile, significa soprattutto partire dai singoli elementi, partire dalle persone, estrapolarle dal contesto e metterle sotto la lente dâingrandimento, cosĂŹ che le piccole storie possono costruire unâampia narrazione. Nel 2019 mi sono trasferito dallâAbruzzo in Puglia, a Grottaglie. Con la mia famiglia abbiamo deciso di prendere casa nel centro storico, la parte autentica della cittaĚ, quella vissuta dagli ultimi, quelli che hanno creduto nella bellezza delle mura antiche e fatiscenti, quelli che fanno fatica a sopravvivere ma dove il senso di condivisione eĚ ancora vivo. Una cittaĚ nella cittaĚ, non la mia cittĂ , ma quella che sto cercando di render mia anche attraverso questo rendez-vous chiamato fotografia.
Matteo Montenero (Torino, 1995)
Fotografo e storyteller visivo, ha studiato fotografia allâIstituto Europeo di Design di Torino. Le sue immagini sono frutto di una ricerca che si concentra principalmente su tematiche sociali.
VALBA DĂ CARSAJ
Il progresso tecnologico, amplificatore del processo di interconnessione tra le nazioni, è un ingrediente fondamentale per la ricchezza e lo sviluppo mondiale, sia economicamente che culturalmente. I movimenti e gli spostamenti accelerati sono stati però alla base della diffusione del coronavirus. La Val di Susa, che si poneva giĂ come un luogo âchiusoâ, ha sofferto ancora di piĂš le conseguenze legate al coronavirus. Valba DĂŤ Carsaj, dal piemontese, valle di passaggio, è un progetto realizzato durante la Fase 2 dellâepidemia, proprio in Val di Susa. Il lavoro mostra una condizione transitoria, come quella in cui è immersa la valle, in cui il Covid-19 ha complicato il rapporto giĂ travagliato tra i giovani e lâambiente, un non-luogo macroscopico con cui le nuove generazioni faticano ad interfacciarsi. I luoghi, cupi e notturni, ragionano sulla torpidezza dello sviluppo e delle opportunitĂ . Tra opere incompiute e macerie industriali, nel paesaggio risuona lâidea di speranza. Il Covid-19 diventa il punto focale attorno a cui gravita una realtĂ problematica, in modo particolare per i giovani il cui futuro si affaccia su una cornice che mostra il vuoto.
Claudia Orsetti (Chiaravalle – AN, 1983)
Architetto e fotografa, è naturalmente attratta dalle contraddizioni. Il centro della sua ricerca gravita attorno ai concetti di territorio, tempo e memoria, spaziando tra fotografia documentaristica e di paesaggio. Il suo lavoro è pubblicato regolarmente su riviste e piattaforme online. Quest’anno è stata nominata da GUP NewTalent 2021.
VANISHED (SVANITA)
Vanished è un progetto nato a seguito della scomparsa di mia nonna a causa del Covid. La distanza fisica imposta dalla malattia ha reso la sua mancanza quasi inverosimile, a volte sembra non sia mai successo, come se fosse semplicemente svanita. Il progetto tenta di esplorare l’assenza improvvisa, non vissuta, e come questa si sia trasformata in una presenza ritrovata, attraverso unâindagine intima, ma allo stesso tempo forensica di oggetti personali. Il lavoro fotografico oscilla tra vecchie foto conservate da mia nonna in un piccolo libro che teneva con sè e ricordi offuscati, memorie ritrovate di luoghi una volta familiari che rievocano o forse semplicemente collocano una serie di sensazioni legate alla mia infanzia e al tempo trascorso con mia nonna. E poi il presente, ma soprattutto mia madre e il suo dolore che rimane un poâ silenzioso, forse a causa del rapporto stretto, ma spesso conflittuale, tra lei e sua madre. Incomprensioni di una vita rimaste in sospeso vacillano tra il senso di colpa e la consapevolezza di tutto quello che di mia nonna rimane oggi in noi, intangibile ma solido. Questo progetto è il mio modo di riappropriarmi di una memoria svanita senza che questa possa essere vissuta.
Nunzia Pallante (Polla – SA, 1991)
Fotografa e artista visiva, legata alla fotografia nel suo tratto materico, intesa come oggetto da rimodulare e affiancare ad altre tecniche, indaga gli aspetti differenti della percezione della realtĂ e la relazione con lo spazio e l’habitat. Collabora ad Archivio Bellosguardo, progetto collettivo volto alla valorizzazione territoriale tra fotografie di famiglia e campagne fotografiche.
HERACLEUM
Heracleum è un luogo tra realtĂ e immaginario. Nei giorni indistinti della quarantena è stato vitale osservare e ascoltare il paesaggio oltre la finestra. Le possibilitĂ di ripensare al âfuoriâ sembravano infinite e l’immaginazione era l’unica via possibile per intravedere anche minimi mutamenti e assistere a qualcosa di diverso. L’esterno suggeriva impressioni invisibili ma non impercettibili e la ricerca ha cercato di materializzare quel costante brusio che aleggiava nell’aria. Uscire di nuovo per strada ha significato tornare a guardare, entrare fra i palazzi, riconoscere sensazioni e rumori accumulati. Spinta dal senso ludico della pratica, ho raccolto fiori, piante e semi da posare poi sulle fotografie, per allestire unâimmagine multistrato da ri-fotografare, per rimodellare, scombinare, ricreare la realtĂ , e rispondere allâesigenza del materico. Lâesperienza visiva non si esaurisce allâesterno, ma si srotola in piĂš fasi creative che si influenzano e si dilatano a vicenda: scatto, stampa, scelta dei materiali, composizione piĂš o meno casuale, ri-scatto sono anelli di una catena dove i luoghi rivivono una seconda, una terza, una quarta volta.
Nicolò Panzeri (Milano, 1991)
Nel 2018 viene selezionato per Fotografia Europea a Reggio Emilia. Nel 2019 lavora due mesi a Calcutta, in India, per conto dellâONG P4P. Lo stesso anno svolge, per conto del Ministero dellâOman, una campagna fotografica sulle nuove generazioni. Nel giugno 2020 è nominato vincitore del Grant ISPA realizzando, nel corso di sei mesi di lavoro, una nuova serie fotografica di 40 immagini.
ANATOMY OF A VIRUS
âGiorno sette. Quanto riesci a stare solo? Dove finisce la solitudine? Da quanti giorni non metti il piede oltre la soglia di casa? Apro gli occhi e vedo viola.â
Annotavo questi pensieri il 18 marzo, a una settimana esatta dall’inizio della quarantena. Nellâintento di rivisitare visivamente grafici e flussi legati all’andamento della prima ondata di pandemia, ho cercato di soffermarmi anche sulle conseguenze individuali e sociali che il lockdown ha provocato, su di me in primis. E cosĂŹ libri, ritagli di cartone, pane, saponi, rotoli di carta igienica, schermi a cristalli liquidi, patate dimenticate e polaroid bruciate, acquisiscono un sapore tutto nuovo e unâinsospettata importanza. Il primo lockdown si presenta alla nostra porta come il fantasma-del-giĂ -vissuto, di ciò che si prospetta da qui a qualche settimana con unâipotetica seconda quarantena italiana, la quale potrebbe provocare ripercussioni ben piĂš gravi.
Claudia Petraroli (Teramo, 1987)
Dopo la laurea in Storia dellâArte, nel 2017 si specializza in Fotografia presso lâAccademia di Belle Arti di Brera. La sua ricerca nasce dallâosservazione del dato reale e dai fenomeni connessi al consumo di massa e alla produzione di soggettivitĂ , con particolare attenzione ad alcune forme di violenza simbolica. Ha partecipato a diversi festival tra cui Giovane Fotografia Italiana #5, F4 Unâidea di fotografia, Fotopub Festival, Photo Open Up. Dal 2018 è parte della collezione di Donata Pizzi sulle fotografe italiane dal secondo Novecento a oggi. Vive e lavora a Milano.
LâARTE, IL GEROGLIFICO DELLA POTENZA
Le composizioni che costituiscono la serie sembrano richiamare lâestetica della pittura informale eppure le tracce, anzicheĚ essere il prodotto di unâazione pittorica, sono il risultato dellâattivitaĚ di post-produzione digitale in cui lâartista eĚ impegnata a livello professionale per alcuni brand di lusso e moda. Le campionature di superfici, pixel e pennellate, parti e strati delle immagini necessari alla costruzione di oggetti dalla fattura perfetta, diventano qui misura del tempo occupato dal lavoro subordinato alla produttivitaĚ capitalistica. UnâattivitaĚ di manodopera digitale ripetitiva e regolata da contratti intermittenti, il cui senso di insicurezza e provvisorietaĚ non accenna a diminuire nemmeno nel post-lockdown. Con lâimposizione dello smartworking, il tempo del lavoro si insinua nelle pieghe dello spazio abitativo, invadendo ulteriormente la dimensione privata. Il âfurtoâ di materia digitale diventa idealmente il riscatto di quel tempo attraverso la sua trasposizione nel linguaggio dellâarte e sottrae la componente altrimenti impercettibile della rappresentazione fotografica del prodotto di consumo alla propria funzione disciplinante. Se eĚ vero che il reale non puoĚ piuĚ darsi se non come costruzione o cosa fabbricata, lâarte stessa potraĚ farsi con questi pezzi di realtaĚ. Per dirlo con le parole di Toni Negri: âCapire cosâeĚ arte oggi eĚ comprendere come il dolore di un mondo perduto puoĚ avventurarsi su un continente nudo e sconosciuto, per creare lâessere nuovoâ (Arte e moltitudo, 2014).
Giorgio Salimeni (Catania, 1990)
Si approccia alla fotografia durante gli anni in cui lavora come fisioterapista allâinterno di case di cura per anziani. Accresce la propria formazione assistendo Alex Majoli e collaborando con il collettivo Cesura, di cui oggi è membro. Continua lo sviluppo del proprio linguaggio attraverso progetti a lungo termine legati allâattuale condizione sociale del Sud Italia.
REDEO
Redeo, verbo intransitivo anomalo: fare ritorno. Redeo è il nome di una comunitĂ terapeutica sperimentale per soggetti con disturbi psichiatrici di bassa e media intensitĂ , nata nel 2017 allâinterno di una casa di riposo sull’appennino toscano. Per diversi anni ho lavorato come fisioterapista dentro strutture residenziali per anziani e subito dopo la fase acuta della pandemia ho deciso di farvi ritorno. CosĂŹ, per caso e per fortuna, ho conosciuto Antonella, Massimo, Luigi, Francesca e tutti gli altri ospiti della comunitĂ ; persone deboli che hanno subĂŹto fortemente le restrizioni della prima fase. Eâ stato naturale trascorrere parte della mia libertĂ estiva con loro, riempire insieme alcune delle nostre giornate e condividere attimi di apparente ânormalitĂ â. Queste immagini sono state scattate nei mesi di riapertura compresi tra luglio e ottobre 2020. Oggi la comunità è nuovamente chiusa a visite esterne.
- OLYMPUS DIGITAL CAMERA
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Claudia Sinigaglia (Padova, 1985)
La sua produzione artistica indaga la geografia degli spazi vissuti e i pattern ad essi correlati, attraverso una ricerca che spazia dalla fotografia dâarchitettura allo studio dei processi cognitivi. Ha partecipato a diversi programmi di residenza in Italia e allâestero, tra questi i piĂš recenti a Tokyo, Shanghai e San Pietroburgo. Il suo lavoro è stato esposto a livello nazionale e internazionale. Vive a Milano.
21 DAYS MONOCHROME SERIES
Alcune teorie in ambito psicologico sostengono che 21 giorni siano la quantitĂ minima di tempo indispensabile per adattarsi a un cambiamento e iniziare a creare unâabitudine. Attraverso le prime ricerche condotte negli anni Sessanta è stato osservato come molti fenomeni tendano a dimostrare che questo è solitamente lâarco di tempo necessario al nostro cervello per trasformare una vecchia immagine mentale e per iniziare ad abituarsi a una nuova situazione. 21 Days monochrome series tenta di riflettere sul processo di adattamento ritraendo elementi che hanno acquisito un ruolo centrale nella quotidianitĂ del post-lockdown. Le fotografie di questo progetto mostrano dettagli di mascherine, guanti, alcol e gel disinfettanti ravvicinati e ingranditi a tal punto da âscomparireâ in campiture monocrome. La serie di fotografie, attraverso un ripetersi di colori che ritornano simili nella sequenza di monocromi, ambisce a indagare le sfumature dei processi psicologici di adattamento e di creazione delle abitudini sottesi a fronteggiare la particolare situazione con cui ci stiamo confrontando.
Andrea Storni (Firenze, 1999)
Nato da madre cinese e da padre italiano, inizia a frequentare la Fondazione Studio Marangoni nel 2018. Nei suoi lavori presta particolare attenzione a temi sociali e politici, affrontando anche temi personali che riguardano soprattutto la famiglia. Ha collaborato per alcune testate giornalistiche quali Il Corriere della Sera e La Repubblica.
UN AFFARE DI FAMIGLIA
Mio padre, convinto da sempre che il successo lavorativo e lâinseguimento morboso di esso fosse la chiave per la sua felicitĂ , si è reso conto, con la quarantena e la conseguente impossibilitĂ di lavorare, di aver condotto un’esistenza infelice, durante la quale è stato dimenticato e seppellito il ragazzo sensibile di umili origini che è diventato strumento del suo stesso lavoro. Entrato ormai nella fase finale della sua vita si rende conto che non ha piĂš tempo per investire in affetti e passioni personali. Io, che con mio padre non ho mai condiviso un vero legame, mi ritrovo a doverlo assistere insieme a mio fratello nella sua routine, alla ricerca ossessiva di un problema fisico che non esiste e che non è altro se non la maschera che lui stesso si è creato per preservare la sua fragilitĂ . La verità è che è troppo tardi e io ne sto seguendo il conflitto interiore.
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