Martedì 24 maggio si è svolto presso la Fondazione Pirelli il convegno
CULTURA DOVE SEI?
I LUOGHI DELLA CULTURA NEL FLUSSO DEI CAMBIAMENTI ECONOMICI, SOCIALI E TECNOLOGICI
Interventi:
Guido Guerzoni, Docente di Management delle Istituzioni culturali, Università Luigi Bocconi, Milano
[expand title=”I modelli museologici degli ultimi ventanni “][box]Guido Guerzoni
I modelli museologici degli ultimi ventanni
Negli ultimi ventanni il dibattito museologico e museografico si è misurato con avvincenti sfide, tentando di rispondere a nuove istanze; a titolo di esempio, è possibile interpretare, narrare e rappresentare fenomeni storici che hanno coinvolto milioni di sconosciuti, figure ai margini dei grandi avvenimenti, che sovente non hanno lasciato tracce significative del loro passaggio, né materiale né documentale? Fino a quale estremo livello di astrazione è possibile spingere la tematizzazione di un museo e di una mostra? Si possono realizzare musei ed eventi espositivi con dotazioni modeste o nulle di reperti, talvolta neppure originali, lavorando su patrimoni immateriali, editando supporti audiovisivi, creando installazioni sonore e olfattive, rielaborando le informazioni raccolte da fonti disparate, accomunate dallassenza di fisicità?
Le risposte fornite a queste domande sono state spesso positive, osservando gli esiti dei progetti dedicati alle donne, linfanzia, le migrazioni, le schiavitù, lOlocausto, le guerre, il lavoro, le colonizzazioni, le culture orali, le minoranze, la biodiversità e lambiente, i cambiamenti climatici, i diritti umani, la fantasia o la pace, senza dimenticare le sperimentazioni condotte nei science e discovery center, nei children museum e in svariate mostre temporanee.
Queste esperienze comprovano la capacità di trattare felicemente anche grandi antiepopee, fatte di voci corali, volti anonimi e movimenti collettivi – dove il memorabile non coincide con leroico, né lo storico con lindividuale – che necessitano di competenze e allestimenti affatto peculiari.
Infatti non è semplice sceneggiare narrazioni prive di protagonisti riconoscibili, riferimenti puntuali, tracce documentali e oggetti magnetici cui ancorare il percorso di visita, assicurandosi che rimangano emozionanti, coinvolgenti e persuasive senza perdere il rigore storico, lonestà intellettuale e il rispetto della deontologia professionale.
Ciononostante negli ultimi anni la museologia e la museografia sono riuscite con successo a riportare al centro dellattenzione temi e fenomeni la cui grandezza, talvolta tragica, è risultata della somma di miriadi di vicende banali, vite modeste, oggetti insignificanti e moltitudini di comprimari irriconoscibili, passati come gocce nel mare della grande storia. Si è trattato di unattenzione in qualche misura risarcitoria, stimolata dagli orientamenti delle nuove scienze sociali di ispirazione marxista prima e dei cultural studies poi, che, di là dai condizionamenti ideologici, hanno comunque aperto una discussione feconda, favorendo la
musealizzazione di temi e fenomeni ritenuti indegni di attenzione sino a pochi decenni or sono.
La museologia ottocentesca e novecentesca ha infatti celebrato le storie, le memorie e i lasciti dei vincitori, privilegiando avvenimenti isolati e personalità eminenti, civiltà evolute e opere insigni, in una logica rappresentativa ufficialmente scientifica, fondata su oggetti visibili, cronologie chiare, giudizi certi e gerarchie immutabili, che hanno costituito i capisaldi delle tradizionali forme di allestimento, narrazione e rappresentazione museale.
Daltronde i musei hanno condiviso le predilezioni e le idiosincrasie delle discipline accademiche di riferimento, come giudici di ultima istanza e certificatori del valore culturale di opere e uomini, eventi storici e fenomeni sociali, fissando i canoni della trasmissibilità intergenerazionale; nella maggior parte dei casi ciò che veniva giudicato indegno di essere conservato, scompariva, spesso per sempre, dagli orizzonti della conoscenza e della memoria.
Ma negli ultimi decenni è cambiato il modo di percepire il cambiamento e di cogliere il senso e la profondità della storia; viviamo in un iper-presente che ci sfugge e gli oggetti che le memorie collettive vorrebbero tramandare appartengono a un passato sempre più vicino e sempre meno condiviso. Parallelamente sono caduti gli steccati che dividevano culture alte e basse, gusti elitari e popolari, originali e riproduzioni, oggetti analogici e digitali, in un processo che ha comportato la
revisione di principi espositivi vigenti da secoli.
Questa situazione ha convinto, talvolta costretto, i musei e le istituzioni culturali a occuparsi di epoche, collezioni e tematiche a ridosso della quotidianità, fornendo strumenti interpretativi che non hanno la pretesa o il coraggio di fornire giudizi duraturi e offrire letture univoche. Non sono più fondamentali i singoli oggetti e la loro collocazione allinterno di sistemi classificatori rigidi, ma linserimento in contesti narrativi aperti, che non forniscono una lettura canonica, ma
suggeriscono interpretazioni differenti.
Il visitatore, da destinatario passivo dei verbi disciplinari, è diventato un soggetto attivo, da sedurre e conquistare, lasciandogli una libertà di scelta e, in qualche misura, una parola che non è mai lultima.
Per questa ragione non viene privilegiato solo il senso della vista; noi scopriamo e interagiamo con tutti i sensi, ragion per cui le istituzioni museali di nuova generazione, soprattutto quelle prive di capolavori e oggetti eccezionali, producono esperienze, emozioni e sensazioni e forniscono informazioni e conoscenze in formati diversi da quelli precedenti.
Questa dimensione conoscitiva può applicarsi, a fortiori, su temi che in passato non erano nemmeno concepibili: non è un caso che a partire dagli anni settanta, in coincidenza con la proliferazione degli studi sugli sconfitti, i devianti, le culture popolari e i ceti svantaggiati, su ciò e chi si collocava ai margini del selettivo cono di attenzione dellalta cultura otto-novecentesca, si siano moltiplicati gli sforzi per recuperare il tempo perduto e porre sotto i riflettori museali quanto e quanti erano rimasti per secoli e secoli nellombra o al buio: milioni di oggetti e individui, senza autori o provenienze, ma ciononostante protagonisti di grandi vicende.
Silvia Bottiroli, critico e curatore di spettacolo contemporaneo / coordinamento critico organizzativo di Santarcangelo 2009/2011
[expand title=”Forme alternative di esperienza “][box]Silvia Bottiroli
Forme alternative di esperienza
Unistituzione sarà un luogo piacevole e comodo progettato perché le persone possano lavorare (con computer portatili), mangiare, bere e occasionalmente dormire.
Il personale, gli artisti e il pubblico si scambieranno spesso di ruolo.
Dora Garcia
Le istituzioni artistiche dovranno fare dei veri sforzi per affrontare un problema che hanno troppo spesso ignorato nel secolo scorso: la velocità allarmante a cui lidea stessa di sfera pubblica sta evaporando. Visto che gli spazi per la comunità pubblica sono sostituiti dai rituali quotidiani, spesso indeboliti e generalmente insignificanti, della vita del consumatore, le istituzioni artistiche devono non solo riconoscere la loro stessa colpevolezza rispetto alla caduta dellarte nel commercio, ma anche impegnarsi nel presentare e giustapporre diversi progetti artistici che (senza essere pedanti o prescrittivi) offrano ai visitatori delle forme alternative di esperienza e degli strumenti critici per comprendere il mondo in cui viviamo.
Candice Breitz
Lo spettacolo dal vivo, come ogni attività umana che implica la compresenza di diversi soggetti, ha la caratteristica di creare luoghi, di disegnare cioè il proprio luogo allinterno di uno spazio dato. Portare lattenzione su cambiamenti, crisi, potenzialità dei luoghi della cultura, rispetto al teatro e più in generale alle forme di spettacolo dal vivo, significa allora riflettere sulle caratteristiche sostanziali delle modalità di produzione oltre che di fruizione di questa forma darte o meglio rendersi conto che questi due aspetti non sono mai disgiunti, perché non si dà teatro senza la compresenza di un pubblico, o meglio di una comunità.
Il teatro è arte politica per eccellenza, come hanno affermato a più riprese diversi filosofi occidentali, sino almeno a Hannah Arendt che in Vita activa scrive che solo in esso la sfera politica della vita umana è trasposta nellarte. E così pure è lunica arte che ha come solo soggetto luomo nelle sue relazioni con gli altri uomini.
Credo sia oggi più che mai importante riflettere, da parte degli artisti di teatro ma anche dei teorici e delle istituzioni che operano nello spettacolo dal vivo, su che cosa significhi, nel quadro socio-culturale attuale, assumersi pienamente e anzi rilanciare la vocazione politica del teatro, e cioè la vocazione a essere in relazione con i molti (i polis appunto), con le diverse sfaccettature della collettività umana, e occuparsi delle relazioni delluomo con gli altri uomini. Da diverse parti emerge una rinnovata attenzione della scena contemporanea almeno in certe sue forme, quelle non legate al consumo ma alla produzione di senso e alla sua discussione critica a dare chiavi di accesso allesperienza estetica anziché limitarsi a proporre un cartellone di spettacoli, come pure capita spesso nei teatri e nei festival anche maggiori, così desolatamente simili a se stessi in tutta Europa.
Penso ad alcuni esempi, quali i Laboratoires dAubervilliers e il PAF Performing Arts Forum in Francia, che mi sembrano paradigmatici in questo senso: si tratta di due esperienze di certo minoritarie nella geografia dello spettacolo, eppure è proprio da certe minoranze, quelle che Goffredo Fofi ha indicato come minoranze etiche che stanno maturando segni significativi di cambiamento, modelli di pensiero e di gestione, buone pratiche, consapevolezze e inquietudini che riguardano la dimensione sociale oltre che culturale delle arti arti e di altre pratiche quali quella pedagogica e quella sociale, che sono forse, insieme alla cultura, le discipline a cui affidare un cambiamento necessario.
I Laboratoires dAubervilliers, situati alla periferia nord di Parigi, si fondano affrontano programmaticamente ogni progetto artistico come una occasione di un rinnovamento e di una critica delle modalità conosciute di produzione e dei modi di lavoro e di relazione con il pubblico che ne derivano. Ogni progetto si rivolge al pubblico attraverso i formati prodotti nel corso del processo di ricerca, ad esempio: performance, conferenze, mostre, proiezioni, concerti, pasti etc. Il pubblico si costituisce a partire dalloggetto della ricerca e secondo il tipo di partecipazione che esso implica. Ogni partecipazione determina il carattere collettivo delle ricerche, attraverso la natura dei saperi e delle pratiche messi in comune e il modo in cui questa attività si organizza
La struttura è guidata da un collettivo di tre curatori (Grégory Castéra, Alice Chauchat, Nataa Petrein-Bachelez) ed è retta da un consiglio di amministrazione di cui fanno parte alcuni tra i maggiori coreografi francesi contemporanei, quali Xavier Le Roy e Loïc Touzé. Questistituzione è quindi uno strumento di lavoro creato da artisti per artisti, che afferma fortemente una dimensione collettiva come modalità di ideazione e produzione dei suoi progetti, che mescola programmaticamente il piano politico e quello artistico e che si pone in reazione con un contesto molto specifico, quello della periferia parigina appunto, e con una comunità composita, fatta da artisti, studenti e critici ma anche di cittadini
di Aubervilliers che attraverso alcuni tipi di attività e di proposte hanno imparato a riconoscere i Laboratoires come un luogo che appartiene anche loro.
Una modalità di lavoro così radicale costituisce un ottimo antidoto, credo, al rischio di una retorica della creatività, richiamando a ragionare invece in termini di creazione, come propone David Inglis in un suo intervento recente, in cui discute severamente la colonizzazione così lui scrive che i termini creatività e innovazione hanno operato nel dibattito sulle arti e il loro rapporto con la sfera economica e politica.
Il PAF Performing Arts Forum , sito in un minuscolo villaggio rurale della Champagne, è un luogo di residenze creato da un artista olandese, Jan Ritsema, in un antico convento femminile. Qui artisti, teorici e curatori vi trovano spazi individuali e comuni in cui studiare, lavorare e confrontarsi secondo alcuni princìpi che rispondono a una visione etica ed economica precisa: i costi sono molto modesti, si accede in base al numero di stanze disponibili senza presentare alcuna application, e tutte le risorse sono accessibili, dai libri della biblioteca alle attrezzatura tecniche.
Per tutto ciò che riguarda la vita comune pasti, cura del luogo vige la regola che chi fa, decide: lunico modo per poter prendere decisioni è assumersi concretamente limpegno del fare, secondo una modalità elementare che pure suona terribilmente rivoluzionaria. Nellingresso vi è una vecchia lavagna da scuola, in cui vengono scritte giorno per giorno le attività pubbliche, quelle cioè a cui si vogliono invitare gli altri residenti (prove aperte, visioni di film, incontri, discussioni
); regolarmente vengono organizzate attività rivolte anche ai cittadini di St Erme, ad esempio la Public School in cui chiunque può proporre argomenti o materie che è disponibile a insegnare o che vorrebbe imparare, e in modo partecipato si sceglie anno per anno quali classi far partire e come organizzare le lezioni, gratuite e aperte a tutti.
Questi e altri luoghi, fisici e di pensiero, delineano un paesaggio che andrebbe meglio indagato, per la sua capacità di tenere conto delle esigenze dei diversi attori coinvolti, gli artisti e gli spettatori in particolare, pensati entrambi come identità plurali e, soprattutto, come cittadini. Vale a dire soggetto e non oggetto di una politica culturale, di una proposta artistica, di una modalità di lavoro.
È nella consapevolezza e nella capacità di interrogare i rapporti tra uomini e di proporre nuovi modelli di convivenza sociale che il teatro trova la sua pienezza. Può dirsi contemporaneo quindi quel teatro che sa inventare istituzioni irriconoscibili e riformularle costantemente in base alle esigenze degli artisti, e che fonda la sua relazione con gli spettatori sulla condivisione in termini di proposta e di partecipazione del suo luogo, attraverso una pratica artistica che abita lo spazio. Queste pratiche portano con sé una riflessione sulla cittadinanza, su che cosa significhi essere cittadini di un paese, di uno spazio culturale, di un progetto, e di questa riflessione cè terribilmente bisogno.
Un invito a spettatori e artisti a essere cittadini, cioè a farsi autori di una questione collettiva, lo ha rivolto anche il Festival di Santarcangelo nellambito di un progetto triennale che si è articolato tra il 2009 e il 2011 sotto la direzione artistica di Chiara Guidi/Socìetas Raffaello Sanzio, Enrico Casagrande/Motus e Ermanna Montanari/Teatro delle Albe.
Il Festival di Santarcangelo è senza dubbio una delle esperienze più importanti nella geografia dello spettacolo contemporaneo in Italia: fondato nel 1971, ha dato voce ai grandi fenomeni del teatro dagli anni Settanta a oggi, talvolta anticipandoli e sostenendoli sul nascere, e ha formato, in platea e sul palco, gli artisti maggiori delle ultime generazioni, ma anche moltissimi critici, studiosi, organizzatori. È un luogo in cui si incrociano gli sguardi, si producono e si presentano spettacoli peraltro con risorse molto ridotte e grazie a un vero senso di militanza degli artisti ma si costruiscono anche contesti di dialogo, di riflessione, di scrittura. Con questo triennio il festival è stato consegnato tre gruppi molto riconosciuti a livello internazionale, ma tutti basati in Romagna, tre gruppi cioè che hanno costruito una sapienza artistica, tecnica e organizzativa e che lhanno messa al servizio di un territorio. Accanto a loro, tre figure riunite in un coordinamento critico-organizzativo, di cui faccio parte con Rodolfo Sacchettini e Cristina Ventrucci: un nucleo collettivo di teorici-organizzatori, chiamati ad affiancare la direzione artistica nella programmazione, a costituire e dirigere il gruppo di lavoro del festival, e soprattutto a nutrire, tra unedizione e laltra, un terreno culturale e politico comune, affinché ogni artista possa permettersi un affondo verticale in una sua visionarietà, ma il suo fare si fondi su una direzione culturale unitaria e riconoscibile.
Santarcangelo 2009/2011 ha posto alcune questioni che restano tuttora aperte e che interrogano quella possibilità di proporre forme alternative di esperienza tanto alle istituzioni culturali e alle loro pratiche, quanto ai pubblici che le attraversano. Due aspetti in particolare mi paiono rilevanti. Il primo è lutopia di una pluralità, una coralità anzi, affermata programmaticamente come necessaria e come impossibile. La coralità di artisti diversi innanzitutto, chiamati a una responsabilità pubblica condivisa nellassunzione della direzione del festival, e la coralità tra artisti, critici e organizzatori, orientata dalla visione artistica assunta come paradigma di una tensione a operare in termini di creazione permanente, ideando cioè scenari teorici e modalità produttive. Si mette in gioco qui, o almeno si tenta, una funzione critica intesa nel senso in cui Irit Rogoff scrive della criticality: una qualità connessa con il rischio, [capace di] fissare lattenzione su ciò che necessita di essere pensato piuttosto che discutere ciò che è già stato pensato. Credo vi sia un autentico slancio morale nellaffermare la necessità di ripensare per intero gli scenari e i perimetri concettuali e concreti in cui operiamo, come pure nel porre la questione della coralità, intesa sia chiaro non come uniformità di giudizio ma come intonazione di voci diverse, individuali, e ricerca inesausta di quellequilibrio così difficile e meraviglioso dei momenti in cui soggettività e collettività si incontrano in una creazione. A proposito delle manifestazioni studentesche dello scorso inverno una giovane donna ha scritto, in una lettera aperta a un quotidiano, che in quelle giornate, prima dellintervento delle forze armate, in piazza si era vista una felicità pubblica. È una parola così abusata, felicità, eppure così eretica in questepoca infelice, che forse dovremmo proprio riappropriarcene, rivendicandone il carattere collettivo, il suo essere bene comune.
Laltra questione in gioco a Santarcangelo è il rapporto con la città e con i cittadini, riaffermato già con il recupero del titolo originario di festival internazionale del teatro in piazza e sperimentato poi attraverso interventi che hanno tenuto contoanche di una specificità di Santarcangelo, quella di ospitare da decenni un festival con decine di spettacoli senza avere neanche un teatro. Nella prospettiva di un rinnovato rapporto con la città vanno letti i progetti pensati per le case private, in cui si è chiesto agli abitanti di ospitare il lavoro di alcuni artisti e di accogliere piccoli gruppi di spettatori; la regia di eventi di piazza dal concerto di Arto Lindsay su cinque torri, allazione pubblica del collettivo israeliano Public Movement… e pure vere e proprie chiamate pubbliche ai cittadini di ogni età, invitati ad accogliere orti domestici o a formare, questanno, cori occasionali. Tra questi, nelledizione diretta nel 2011 da Ermanna Montanari, il Coro doppio ideato da Dario Giovannini, in cui diversi cittadini di Santarcangelo, italiani e stranieri, si sono ritrovati a mettere in canto il loro punto di vista su diversi aspetti della vita politica del paese, componendo per ogni tema due gruppi giustapposti, che cantano ragioni di accordo o di disaccordo con unidea, e rimescolandosi per ogni canzone, spostandosi dalluna allaltra parte a seconda della loro posizione sui diversi argomenti affrontati.
Credo sia unimmagine molto potente, questa di un coro doppio, cioè dialettico, di cittadini che insieme prendono la parola nello spazio pubblico di una piazza, attraverso linvenzione di un artista e la costanza di una pratica maturata nel tempo, e che danno vita così a una comunità occasionale, estemporanea, riunita nel canto e sempre mobile al suo interno, a ricordarci che cittadino è una parola declinata sempre al plurale.
Carlo Fuortes, Amministratore Delegato Fondazione Musica per Roma
[expand title=”Lo spettacolo dal vivo e la cultura contemporanea.
Lesperienza dellAuditorium Parco della Musica di Roma“][box]Carlo Fuortes
Lo spettacolo dal vivo e la cultura contemporanea.
Lesperienza dellAuditorium Parco della Musica di Roma
Giuseppe Strazzeri, Direttore Editoriale Longanesi Editore
[expand title=”Librerie e nuovi luoghi del libro“][box]Giuseppe Strazzeri
Librerie e nuovi luoghi del libro
Giuseppe Strazzeri Direttore Editoriale Longanesi Editore Librerie e nuovi luoghi del libro Ho accolto come una felice provocazione il fatto di essere stato invitato a parlare di biblioteche non essendo un bibliotecario bensì un editore che in quanto tale ha una visione delloggetto libro, come dello spazio che lo concerne, inevitabilmente differente rispetto allarchivista. In altre parole, quando un editore pensa a uno spazio della lettura, pensa alla libreria e assai più di rado alla biblioteca. Questo invito insomma non ha fatto che rimarcare un dato tanto stridente quanto pacificato allinterno dellambito in cui io opero, che è poi quello delleditoria generalista (di contro a quella di settore, sia essa di reference o scolastica), ossia la sostanziale mancanza di dialogo e interazione tra una visione archivistico-conservativa del libro e una editoriale, o in altre parole commerciale. Senza entrare nello specifico delle valutazioni di merito (e demerito) delluno o dellaltro approccio, resta il fatto che due entità che pur nella diversità di intenti dovrebbero avere ugualmente a cuore la promozione della lettura presso la collettività, assai di rado dimostrano di essere consapevoli luna dellaltra. In realtà, se con uno sforzo accomunante magari audace ma non del tutto improprio volessimo limitarci a ragionare sugli spazi deputati alla lettura, siano essi pubblici o commerciali, non potremmo che constatare prima di tutto, una volta di più, che tale tema è strettamente legato a quello dei profondi squilibri territoriali italiani. Si tratta di una questione in realtà assai antica, non a caso ponderata e affrontata in modi geniali e radicalmente diversi, nel secondo Novecento, da due grandi protagonisti delleditoria quali furono Giangiacomo Feltrinelli e Arnoldo Mondadori. La prima libreria Feltrinelli, giova forse ricordarlo, apre a Pisa nel 1957, cui ben presto seguono quelle di Milano (1957 e 1959), Genova (1959) Firenze (1962) e Roma (1964). Il design modernissimo, con tanto di scale mobili e percorso guidato con indicazioni chiarificatrici per la localizzazione del prodotto, si univano al rivoluzionario concetto della vendita a libero servizio, e addirittura allinserimento nello spazio libreria di oggetti ludici quali il flipper e il juke-box: tutto si ispirava, nella concezione feltrinelliana, a concetti di gioventù e modernità cui era bello aspirare anche acquistando un libro. Radicalmente opposto lapproccio di Mondadori, che, a fronte dellendemica carenza di punti vendita librari in Italia, decide di rompere un tabù creando con gli Oscar, nel 1965 la prima collana libraria tascabile che sfrutta con grande successo (Addio alle armi di Ernst Hemingway, primo Oscar a vedere la luce, vende 60.000 copie in un giorno) lassai più capillare canale dell’edicola, esperienza bissata dai Miti a trentanni di distanza, grazie all’utilizzo sistematico del canale della grande distribuzione con prezzatura adeguata al mass market. Le librerie oggi in Italia sono circa duemila (a fronte delle 38.000 edicole, rete che anche dopo gli Oscar ha spesso supplito alla scarsità di punti vendita e alle carenze distributive). E se si guarda a questo dato numerico raffrontandolo al fattore distributivo sul territorio, tocca constatare che ancora oggi la parte del leone la fa un nord Italia che da solo accoglie più di metà di tali punti vendita. Non molto differente appare del resto a quanto mi consta la situazione delle biblioteche che, pur ammontando grosso modo a 15.000 (parliamo perlomeno di quelle censite dal Sistema Bibliotecario Nazionale), sembrano patire del medesimo squilibrio territoriale cui si accennava sia per quanto riguarda la loro distribuzione sul territorio nazionale sia, dato ancora più preoccupante, per ciò che attiene la scarsa utenza. Tornando alle librerie, può apparire particolarmente allarmante il fatto che tra il 2009 e il 2011 abbiano chiuso i battenti circa duecentocinquanta librerie indipendenti. Il dato, in sé indubbiamente preoccupante, è in realtà corretto dalle novecentocinquanta circa cosiddette librerie di catena presenti sul territorio, il cui circuito più rappresentativo è costituito comè noto dalle librerie Feltrinelli (59 al Nord, 26 al centro, 18 nel sud e nelle isole), seguite dalle librerie Giunti-Ubik (180 circa di cui una ventina al sud), dalle Mondadori (27 le librerie Mondadori più oltre 250 punti vendita in franchising), dalle Paoline (48, di cui 18 al sud , 21 al nord, e 7 nel centro), dalle Edison (37, di cui una sola sotto Roma), dalle Coop (24, di cui una in Abruzzo e una in Campania), dalle Elledici (27 con i franchising, di cui 8 al sud, 7 nel centro e 13 al nord), e infine dalle Fnac (8, di cui una a Napoli). Se si pone mente al fatto che questa tipologia di libreria ammontava nel 2007 a soli 324 punti vendita, si intuisce chiaramente un mutamento di scenario che da alcuni potrà essere guardato con sospetto, ma che sembra riflettere con una certa fedeltà un mutamento epocale nelle abitudini della lettura degli italiani. E non sarà certo un caso che in questa zona del nord Milano dove ci troviamo in questo momento il punto vendita librario più vicino sia una libreria Feltrinelli allinterno del centro commerciale Sarca. Che la libreria insomma sia tristemente destinata ad assumere la fisionomia del grande spazio commerciale di massa allinterno dei luoghi deputati al largo consumo? In realtà in un certo senso ci sarebbe da sperarlo, se ciò significasse lingresso stabile del libro nei consumi abituali degli italiani. Se tuttavia i nostalgici, e non sono pochi, delle vecchie librerie indipendenti vedono con sfavore la diffusione di questi mediastore (dicitura con cui spesso queste nuove librerie vengono battezzate), viene da chiedersi in realtà che cosa lespressione spazio della lettura potrà significare in unepoca, ormai assai vicina, in cui il libro, grazie alla digitalizzazione, sarà realmente pronto a smaterializzarsi, cessando così del tutto di essere oggetto fisico da rintracciare in uno spazio fisico, sia esso pubblico o commerciale, per diventare puro accesso a informazioni, storie ed emozioni. Sto parlando ovviamente del definitivo avvento, da più parti annunciato, di unepoca della lettura digitale, quale che sia il device che la implementi (reader, smartphone, tablet).
In realtà io credo che proprio la dimensione inevitabilmente vincente della dimensione ubiqua della lettura digitale sottolinei con maggior forza lambito in cui lo spazio fisico del leggere, sia esso commerciale o pubblico e gratuito, torna a rivelarsi cruciale, a patto che si proponga come spazio aggregativo e propositivo, sede di incontro per unopinione pubblica che non si accontenta di pura connessione ma desidera contatto (e in questo senso la lezione di Giangiacomo Feltrinelli, capace a suo tempo di chiamare a raccolta sotto le insegne delle sue librerie la giovane generazione postbellica italiana, resta viva e attuale). Per non rischiare di rimanere astratti basterà porre mente ad esempio a ciò che i librai Nicolini, a partire dal 1997 sono riusciti a mettere in piedi nella città di Mantova con il Festivaletteratura, facendo della piazza e del cortile uneccezionale occasione aggregativa allinsegna del leggere, ripensando tra laltro la libreria stessa come spazio en plein air, fluido e invitante. In altre parole, sempre di più l’attività intorno al libro e alla lettura sembra articolarsi intorno ai concetti di servizio (reperibilità, prezzo, rapidità di accesso al contenuto desiderato) e di evento (contatto con lautore, dibattito). E facile intuire il vantaggio strutturale che sul primo aspetto oggi hanno le librerie di catena e domani avranno i grandi player del mercato digitale. Sul secondo aspetto invece entra prepotentemente un “fattore umano” che sembra avere molto potenziale e sul quale sarebbe bello vedere non solo le librerie, spinte dal gioco a volte anche crudele della concorrenza, ma anche le biblioteche come luoghi che evolvono allinsegna della creatività e della proposta aggregatrice, magari facilitati dal fatto che l’evento librario è povero per definizione e non mette in gioco risorse importanti. Non manca chi vede in questa dimensione eventistica del leggere un portato inesorabilmente televisivo, in cui la centralità dell’autore, meglio se di successo, supera o sembra superare a volte il contenuto di ciò che il suddetto autore ha davvero da dire. Ma chiunque sia stato almeno una volta a Mantova, Pordenonelegge o al Festival della Mente di Sarzana sa che è un rischio che vale ben la pena correre a fronte di una rivalorizzazione della sfera del pubblico dibattito che sembra superare di botto qualunque forma di smaterializzazione e individualismo cui il digitale sembra inesorabilmente spingere l’atto della lettura. Leggere in un luogo preciso piuttosto che ovunque, può dunque ancora oggi rappresentare un valore definito, e trovarsi in un luogo a parlare di libri, piuttosto che ovunque nello spazio virtuale, può essere ancora un atto importante. Ovviamente tutto ciò richiede forte spirito imprenditoriale e grande creatività, quando non entrambe le cose (e in particolarmente interessante e foriera di sviluppi mi sembra essere in questo senso lesperienza di radicale innovazione dello spazio bibliotecario pubblico messo in atto da Dogliani). Ma sono proprio questi i terreni su cui la grande battaglia digitale degli ultimi anni ha segnato più vittime e più eroi, trascinando nelle proprie vicende ogni aspetto della fruizione culturale, lettura ovviamente non esclusa.
Sergio Dogliani, Deputy Head of Idea Store, London
[expand title=”Idea Stores. Note“][box]Sergio Dogliani
Idea Stores. Note
Gli Idea Stores sono un servizio pubblico che consiste in una struttura di centri polivalenti che offre principalmente biblioteche, ma anche corsi di formazione e per il tempo libero per adulti e famiglie, servizio informazioni e spazio caffè il tutto gestito dal comune di Tower Hamlets (una delle 32 municipalità di Londra, 250.000 abitanti residenti, situato in un?area di alta densità tra la City e il Tamigi, nel tradizionale East End della capitale inglese). La popolazione è cosmopolita, con il 49% appartenente a minoranze etniche, di cui il 33% proveniente dal Bangladesh, e il resto da comunità vietnamite, cinesi, somale e afro-caraibiche. A differenza delle biblioteche e dei centri di formazione precedentemente esistenti nella zona, tutti gli Idea Stores sono posizionati al centro di altre attività locali, sulla strada principale del quartiere, presso supermercati o mercati rionali, vicino alle stazioni della metropolitana, alle banche e altri servizi locali di uso comune. Questo favorisce una frequentazione che diventa una cosa naturale, quotidiana, di routine, così che l?andare in biblioteca è un po? come andare dal panettiere o all?ufficio postale.
Alla base del concetto Idea Store c’è un’approfondita ricerca di mercato tra utenti e non utenti di biblioteche che ha rivelato un desiderio tra la gente di poter accedere facilmente ad attività aggiuntive e complementari – alla lettura, come i corsi. Da qui la necessità di costruire edifici dove i due servizi convivono, ma dove quello che dapprima sembrava semplicemente un matrimonio di convenienza di per sè tutt?altro che disprezzabile, e molto pragmatico, tipico della cultura britannica – si è poi rivelato avere il potenziale per favorire una sinergia che trae la forza dal fatto che chi è attratto dalla lettura spesso vuole imparare qualcosa di nuovo, e viceversa chi è impegnato nell?apprendimento di materie e discipline come lo yoga, la cucina, le lingue straniere, la grafica, la danza, il cucito, l?informatica e molti altri tra gli 800 corsi aperti a tutti annualmente, può approfondire maggiormente i propri studi se si trova in un ambiente dove è facile accedere a documenti e materiali che può prendere in prestito gratuitamente.
Un altro fattore importante rivelato dalla ricerca di mercato è l’idea di un servizio che trae molto dal settore commerciale la cosa è spesso vista con sospetto da alcuni nel settore pubblico, ma va chiarito che, nel caso di Idea Store, si tratta semplicemente di trarre ispirazione da alcuni modelli di servizio, mentre lo scopo è sempre quello di offrire un servizio bibliotecario gratuito al pubblico, dove anche i corsi, che non sono a scopo di lucro, sono a prezzi fortemente sovvenzionati dallo stato. Ecco allora dei centri che hanno tutto l?aspetto delle migliori librerie, con una ottima scelta di titoli, presentati in modo attraente (di copertina, piuttosto che di fianco come nella gran parte delle biblioteche tradizionali), con forti motivi grafici tra la segnaletica, dove si trova del personale attento e premuroso che cammina tra gli spazi, a disposizione del pubblico, piuttosto che seduto dietro a un imponente bancone. Gli orari sono anche quelli lunghi dei grandi magazzini: 7 giorni alla settimana, 71 ore di apertura, 357 giorni all?anno.
I modi di comportamento all?interno degli edifici sono anche dettati da modelli lontanissimi da quelli presenti solitamente in edifici pubblici non esiste segnaletica negativa (vietato mangiare, bere, ecc.), perchè si vuole creare un posto dove impera il rispetto per gli altri, dove non è necessario imporre limitazioni dettate da una severità decisamente d?altri tempi ecco allora il permesso di poter consumare un panino o un cappuccino anche nelle aree di lettura o vicino alle postazione informatiche, o di usare (in modo discreto) il cellulare.
L’adozione di questi modelli e l?applicazione di una politica permissiva non ha creato nè caos, nè vandalismo, nè comportamenti antisociali, come alcuni prevedevano. Il rispetto è una cosa contagiosa, e il fatto di trattare gli utenti in modo civile ha certamente contribuito a creare il terzo posto? così come lo intende il sociologo Ray Oldenburg, un posto neutrale dove la gente si trova a proprio agio, nel rispetto e nella tolleranza verso gli altri. In questo ambiente, la coesione sociale è una cosa naturale, importantissima in un quartiere multiculturale come Tower Hamlets. Gli Idea Stores appartengono proprio a tutti, e favoriscono la fruizione della cultura (con la c? minuscola) dove coesistono collezioni di letteratura di alto livello accanto a letteratura romantica della collana Harmony?, gallerie d?arte con opere di artisti nazionali e internazionali accanto a lavori prodotti da bambini delle scuole locali.
Dal 1998 a oggi le utenze annuali sono salite da 550.000 a 2.100.000 (e dal 18% al 56% il numero dei residenti che frequentano abitualmente, 8% al di sopra dell?attuale media nazionale, con il risultato che Idea Store Whitechapel è la biblioteca più frequentata del centro di Londra). Anche i prestiti di libri sono aumentati del 20%, fatto straordinario, soprattutto in un contesto britannico che negli ultimi dodici anni ha visto i prestiti crollare, con una perdita del 25%. I livelli di soddisfazione stanno andando di pari passo, con un 90% degli utenti che ora considerano il servizio buono o ottimo. Oltre al successo tra i residenti, gli Idea Stores sono riconosciuti a livello internazionale come un modello da imitare. Nonostante la crisi nazionale del settore in Gran Bretagna, dove si prospetta la chiusura di centinaia di biblioteche, a Tower Hamlets non solo stanno ampliando ulteriormente gli orari di apertura, ma si sta costruendo un nuovo Idea Store, il quinto dei sette previsti (1.200 metri quadri, costo 4.5 milioni di euro, apertura prevista nel 2012). Ed Vazey, ministro responsabile per le biblioteche che da sempre apprezza l?impatto degli Idea Stores nel campo delle biblioteche, ha detto recentemente:
Anche a Tower Hamlets hanno chiuso biblioteche, ma l?hanno fatto seguendo una linea strategica, reinventandole e trasformandole in Idea Stores. Il nome ha offeso alcuni tradizionalisti, ma l?utenza ha raggiunto livelli altissimi.
A differenza di altre iniziative della municipalità, gli Idea Stores sono a prova di crisi perchè dietro il successo c’è stato il coraggio nel decidere di intraprendere una strategia molto ambiziosa dieci anni fa – mentre altri si concentravano sul preservare servizi obsoleti, Tower Hamlets ha dimostrato che dove c’è innovazione c’è futuro, e che è molto meglio avere 7 buone biblioteche che 13 di scarsa qualità.
[/box][/expand]Adriano Solidoro, Docente di Gestione della Conoscenza, Università Milano-Bicocca
[expand title=”Cultura, partecipazione e territorio nellera di Facebook e Youtube“][box]Adriano Solidoro
Cultura, partecipazione e territorio nellera di Facebook e Youtube
Valentina Culatti, Executive Producer Adobe Museum of Digital Media
[expand title=”Adobe Museum of Digital Media, un luogo virtuale per la fruizione di cultura“][box]Valentina Culatti
Adobe Museum of Digital Media, un luogo virtuale per la fruizione di cultura
Adobe Museum of Digital Media (AMDM) è un luogo virtuale attraverso il quale viene fruita la cultura. Si tratta di un website (www.adobemuseum.com) il cui scopo è quello di celebrare i media e gli artisti digitali che ne stanno abbracciando ed esplorando il potenziale illimitato.
E il frutto di una stretta collaborazione tra Adobe Systems Incoporated, Piero Frescobaldi, cofondatore di unit9, casa di produzione digitale con sede a Londra, Filippo Innocenti, fondatore di Spin+ e professore di Tecnologia dellArchitettura al Politecnico di Milano e lagenzia pubblicitaria Goodby Silverstein and Partners di San Francisco.
Come ogni luogo virtuale ADMD non ha una presenza fisica nella realtà bensì esiste solo online. La materia che lo compone è digitale e linterazione con il pubblico avviene a schermo, attraverso impulsi visivi e sonori cui gli utenti sono chiamati a rispondere. Dal punto di vista logistico limmaterialità garantisce immediati vantaggi di accessibilità: il museo infatti non ha barriere fisiche ed è aperto 24 ore su 24.
A differenza di quanto ci si potrebbe aspettare da un committente tecnologico e da una natura digitale, questo luogo virtuale non si rivolge a specialisti del settore. Individua invece il suo utente tipo nelle persone comuni, interessate allarte, non esperte di tecnologia digitale.
Ed è proprio in vista di questo pubblico generico, forse più avvezzo a orientarsi nel mondo analogico rispetto ai meandri del codice binario, che il team creativo ha voluto dare ad AMDM una veste architettonica. Lo spazio espositivo è stato pertanto progettato come un edificio reale, costituito da un atrio, sale per le mostre permanenti e alte torri darchivio. I visitatori tuttavia non possono esplorare queste stanze in unillusione tridimensionale. Ledificio resta una metafora cognitiva atta a generare un senso di familiarità, aiutando non solo il visitatore a orientarsi, ma anche il progettista a immaginare la portata dello spazio virtuale. Ma se da un lato il progetto architettonico mostra limponenza dellopera qualora fosse stata realmente costruita, dallaltro rivela i limiti dei nostri attuali schemi mentali.
Dal punto di vista organizzativo si avvale di un direttore, Rich Silverstein, co-chairman e direttore creativo di Goodby Silverstein and Partners, e di un curatore responsabile pro tempore. Il primo curatore scelto è stato Tom Eccles, direttore esecutivo del Bard College Center for Curatorial Studies.
Le opere sono commissionate a nomi noti: tra i primi, il pioniere dellarte digitale Tony Oursler e il design guru John Maeda. La mostra inaugurale di Oursler, Valley, esplora il nostro rapporto con Internet come specchio della coscienza umana. Oursler ha creato 17 punti di interazione che simulano le aree di relazione tra uomo e rete, invitando lo spettatore ad interagire con lopera d’arte su una piattaforma del tutto singolare. A+B = C di John Maeda è invece una lezione interattiva che dimostra come gli innovatori stiano connettendo la creatività dei mondi creativi digitale e analogico (Atomi + Bits = il nuovo Craft).
Lasciando i dettagli descrittivi del contenuto allesplorazione dei visitatori, è interessante interrogare nellambito della cornice Cultura dove sei? il motivo per cui il progetto è stato definito museo dai suoi curatori. E corretto chiamare questo luogo virtuale museo? La risposta dipende dalla definizione. Secondo lInternational Council of Museums (ICOM) dicesi museo unistituzione non a fini di lucro al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che acquista, conserva, ricerca, comunica ed esibisce con scopo di studio e intrattenimento.
AMDM stride con questa definizione perché creato da una multinazionale privata che agisce con lobiettivo del profitto. In quanto società a scopo di lucro tale non può garantire progetti di conservazione a lungo termine nellinteresse del pubblico. Rientra invece nella definizione perché se i musei hanno lobiettivo di fornire accesso al patrimonio culturale, un luogo virtuale che esiste online fornisce un livello di accesso più ampio ed è capace di ospitate un numero illimitato di mostre nello stesso momento.
Qual è pertanto il valore di AMDM? Si tratta puramente di un esercizio di marketing che promuove luso di strumenti digitali (quegli stessi strumenti che il suo committente produce) o è un effettivo luogo della cultura? Lapproccio più onesto consiste probabilmente nellaffermare che il valore di AMDM sta in potenza, nel work in progress. I tempi infatti sono maturi per accettare nuove metafore per la fruizione di contenuti e Adobe Museum of Digital Media è una di queste.
[/box][/expand] Tavola rotonda: [expand title=”Luciano Fasano, Assessore alle Politiche culturali, Comune di Cinisello Balsamo”][box]Luciano FasanoRiflettere sui luoghi della cultura, sulle loro diverse caratteristiche, sul modo in cui essi contribuiscono a organizzare lo spazio della produzione e della diffusione culturale, con lo sguardo rivolto alle più originali pratiche, dal punto di vista della progettazione e della gestione presenti nel panorama europeo, può costituire per noi unopportunità straordinaria, poiché ci permette di immaginare il sistema culturale del Nord Milano. È chiaro che, per quel che concerne i contenuti e il modello istituzionale, la prospettiva di un sistema culturale integrato e omogeneo è ancora di là da venire. Ma è altrettanto chiaro che se ci sforziamo di ragionare concretamente sul tema al centro di questo convegno, e lo facciamo guardando allarticolato insieme dei possibili luoghi di elezione della cultura in questa porzione dellarea metropolitana milanese, non possiamo fare a meno di accettare la sfida del sistema culturale, e al tempo stesso di traguardare su quel livello le nostre legittime aspirazioni. Villa Forno, la Biblioteca Tilane, lHangar Bicocca, il Teatro degli Arcimboldi, il Museo di Fotografia Contemporanea, il Centro Sperimentale di Cinematografia, il Parco Archeologico ex Breda-Marelli, il Pertini (centro culturale di prossima apertura), lo Spazio M.I.L., ed ancora il Parco Nord, lUniversità di Milano-Bicocca, la Fondazione Bicocca, la Fondazione Pirelli, insieme alle amministrazioni comunali di questo territorio, costituiscono naturaliter un sistema di attori, luoghi, strutture vocato alliniziativa culturale. Lunico nostro limite, in questo momento, consiste nel fatto che un sistema vero e proprio non lo siamo ancora. Vuoi perché le nostre relazioni reciproche fanno esclusivamente affidamento sulla buona volontà dei singoli attori, e cioè il grado di istituzionalizzazione dei rapporti fra questi elementi è ancora troppo basso. Vuoi perché non disponiamo ancora né di un progetto, né di un comune modello di governance per realizzarlo. Veniamo dunque a riflettere sul progetto. Il Nord Milano è da sempre luogo di trasformazione per eccellenza. Un tempo rappresentava un territorio a forte presenza industriale, dove dominanti erano fabbriche, aziende, luoghi della produzione materiale. Nellarco di poco più di venti anni, queste aree sono state protagoniste di un importante processo di riconversione produttiva, diventando ambiti del terziario avanzato, mentre molti luoghi simbolo dellimpresa si sono trasformati in luoghi dellinnovazione tecnologica e della ricerca sperimentale, della produzione artistica e culturale. Questo radicale cambiamento, che è anche il risultato delle trasformazioni di cui la società italiana si è resa protagonista negli ultimi decenni, equivalente al passaggio dalla produzione materiale alla produzione immateriale, deve oggi indurci a ripensare luoghi e mezzi dellattività culturale. Lincrocio virtuoso fra innovazione tecnologica e produzione simbolica che contraddistingue il nostro presente, ed è allorigine di nuovi codici e linguaggi, rappresenta unesperienza importante per il nostro territorio, poiché ne segna la trasformazione in termini di identità sociale e ne evidenzia, al tempo stesso, una possibile vocazione futura. Il discorso sulle origini identitarie e sulla natura idiosincratica (in senso anglosassone, a significare qualcosa di distintivo e peculiare) di un luogo è un aspetto essenziale della sua costituzione, in termini socio-imprenditoriali, come distretto culturale. I processi culturali, infatti, sono da un lato idiosincratici e dallaltro universali. La cultura, per come trova radici peculiari in un dato territorio, cui contribuisce a fornire unidentità specifica, attraverso un processo creativo in grado di combinare origini del luogo a conseguenti vocazioni nella produzione artistica, è per sua stessa natura idiosincratica. Al tempo stesso, nel momento in cui un dato prodotto culturale si stacca dalle sue radici locali per diventare un bene dotato di un valore immateriale valido per tutti e senza confini, allora diventa universale. In questo senso, se la produzione di beni culturali è necessariamente legata a luoghi, la fruizione di beni culturali non può che essere ubiqua, nello spazio e nel tempo. Il concetto di cultura come bene idiosincratico, per quanto risulta legato al tema dei distretti culturali, presenta diverse implicazioni, e quindi si articola in diversi aspetti emblematici. In particolare, sono tre, secondo la letteratura sul tema, gli ingredienti socio-economici che concorrono a determinare le origini di un sistema culturale: a) lapparizione di unabilità (e di una tecnologia a essa connessa); b) lo sviluppo di capacità professionali correlate a quella abilità; c) la formazione di una domanda di beni che possono essere prodotti mettendo a frutto quella abilità (e la tecnologia a essa connessa). In questo, i sistemi culturali sono molti simili ai distretti industriali, secondo la teorizzazione che ne fece leconomista Marshall. E se questa analogia ha un senso, allora, al pari di un distretto industriale, un distretto culturale risulta in grado di produrre beni di tipo idiosincratico, non solo per le origini materiali e sociali della produzione, ma anche per talune caratteristiche tecnologiche, conoscitive e di mercato. Per dirla altrimenti, più un bene è time-specific e space-specific e meno il mercato come meccanismo per la produzione e lo scambio di beni relativamente omogenei e fungibili funziona in maniera efficiente nella sua produzione, nella sua distribuzione e nel suo scambio. Un bene culturale, in questo senso, è proprio time and space-specific, quindi risulta portatore di una peculiare qualità, che non è soggetta alle logiche della concorrenza tradizionalmente intesa. La creatività come capacità professionalizzata, e lesistenza necessaria di una domanda fanno il resto. Con ciò, i sistemi (o distretti) culturali si definiscono in ragione della produzione di beni idiosincratici, ovvero con le caratteristiche che abbiamo appena menzionato, basati su una forma di creatività altamente professionalizzata, e rispondono allesistenza di una domanda specifica. Per quel che concerne il Nord Milano: nuovi media, cinematografia, arti visuali, arte contemporanea (eco-arte), fotografia, sono le abilità (con le relative tecnologie) che, coniugate alla creatività professionalizzata già esistente, possono contribuire a dare vita, nel medio-lungo periodo, al progetto culturale del Nord Milano come sistema culturale integrato. In una prospettiva in grado di esaltare la contemporaneità, sia come forma delloggi, sia come simultaneità e contaminazione di diversi linguaggi, codici, metodi della produzione materiale e simbolica, relativi a una particolare cultura che si trasforma e innova nello stesso momento in cui si costruisce. E il forte legame con il contesto sociale ed economico, in quanto prodotto di una particolare evoluzione storica, è allorigine del vantaggio competitivo che contraddistingue un sistema culturale come vera e propria forma di accumulazione di capitale (ovviamente di natura sociale e culturale). Il punto fondamentale della nostra riflessione di oggi deve quindi riguardare il modo di integrare esperienze diverse attori, luoghi, strutture diverse per generare un filone culturale comune, in grado di valorizzare in chiave vocazionale unabilità (una tecnologia a essa correlata) e una forma di creatività altamente professionalizzata, al fine di rispondere a una domanda culturale che, su scala metropolitana, a partire da Expo 2015, è destinata a crescere nel tempo. Di qui, i passi successivi, inerenti la costruzione di un sistema di relazioni istituzionalizzate regolate attraverso un modello di governance, dovrebbero venire di conseguenza, sebbene non possano che svilupparsi tenendo debitamente in considerazione il contesto normativo entro il quale ci si trova. A tale proposito, per lo meno rispetto agli Enti locali, la legge delega sul federalismo fiscale (n. 42/2009) definisce dei vincoli che, al di là di ogni eventuale giudizio di merito, contengono implicitamente delle indicazioni. Vincoli che obbligano a un complessivo ripensamento del modo in cui si producono attività culturali sul territorio, soprattutto per quel che riguarda le amministrazioni comunali, che al di là delle sempre più scarsa disponibilità di risorse economico-finanziarie, e malgrado già prima della Legge n. 42/2009 contribuissero per quasi 2/3 alla produzione di attività culturali nel nostro sistema paese, rappresentano i soggetti su cui istituzionalmente pesa lonere maggiore della produzione culturale, oltre che la responsabilità di risponderne direttamente ai cittadini, a cominciare da servizi fondamentali e inalienabili quali le biblioteche civiche e i musei. Se quindi vogliamo ragionare sul futuro delle attività culturali a livello locale e territoriale, non possiamo esimerci dal considerare un modello di governance fondato sulla comparteciazione, in condizioni paritetiche, di pubblico e privato Enti locali, fondazioni, imprese ecc. nella ideazione, progettazione e produzione di beni culturali. Di qui dobbiamo partire: una nuova governance pubblico/privato; la valorizzazione delle abilità (e tecnologie) che individuiamo come vocazionali, e che per il Nord Milano a mio avviso non possono che riguardare nuovi media, cinematografia, arti visuali, arte contemporanea (eco-arte), fotografia; il potenziamento della creatività professionale a esse correlate; lanalisi e la costruzione anche in chiave di marketing territoriale della domanda culturale relativa a queste attività. E dobbiamo farlo guardando in maniera privilegiata in direzione di un modello di governance in grado di integrare il contributo del pubblico con quello del privato. Cinisello Balsamo, allinterno di questo quadro, è intenzionata a fornire un importante contributo. La prossima apertura del Centro culturale il Pertini (oltre 6.000 mq di superficie, un auditorium di 200 posti, sale conferenza; laboratori, sale lettura; un luogo destinato a ospitare la Biblioteca civica, ma anche tante altre attività culturali) è la dimostrazione più concreta della straordinaria attenzione che in questo momento la nostra amministrazione sta rivolgendo al tema della cultura a livello locale. Siamo consapevoli che si tratta di una sfida difficile. Ma siamo altrettanto consapevoli che la sfida, anche per il contesto legislativo al quale si faceva prima riferimento, investe soprattutto i poli museali e le biblioteche civiche, cioè le realtà che in futuro saranno destinate a diventare il perno delliniziativa culturale delle amministrazioni locali sul territorio. Biblioteche che sono sempre meno semplici luoghi di lettura e sempre più ambiti privilegiati di formazione, informazione, socializzazione, creazione di eventi. Poli museali che, in prospettiva, devono sempre meno essere finalizzati alla conservazione culturale e sempre più diventare luoghi di produzione artistica sperimentale. Il sistema culturale della nostra città, già oggi, e in prospettiva per il 2012 (anno di apertura del nuovo Centro culturale) si costituisce di tre importanti realtà, che facilmente possono essere inquadrate nel discorso che abbiamo fin qui condotto. Il Museo di Fotografia Contemporanea è già, e nel prossimo futuro il nuovo Centro culturale sarà, al pari del Museo, teatro privilegiato di iniziative culturali di portata metropolitana. E con linizio del mandato amministrativo corrente, stiamo ragionando sulla possibilità di valorizzare anche Villa Ghirlanda Silva e lannesso parco, luoghi che già oggi permettono alla nostra città di essere capofila della Rete dei giardini storici ReGis, come ambiti privilegiati della produzione culturale, soprattutto rispetto al recente filone di attività volto a rendere il patrimonio paesaggistico, artistico e architettonico di parchi e giardini il teatro di importanti eventi culturali. Tuttavia siamo consapevoli che se vogliamo dare al complesso delle nostre iniziative una valenza di tipo metropolitano, non possiamo fare a meno di impegnarci nella costruzione di un sistema culturale integrato con altri soggetti, le altre amministrazioni comunali del Nord Milano, così come Fondazioni private e imprese che con noi vogliamo concorrere a questa sfida. Perché per rispondere alla domanda di beni culturali che in un futuro ormai molto prossimo a noi si creerà nellarea metropolitana milanese è quanto mai indispensabile lavorare insieme nella costruzione di una vocazione comune. E poiché noi una vocazione comune, nel campo della cultura e nel pieno della sua contemporaneità, ce labbiamo, non resta che armarsi di buona volontà e con la lucidità di un progetto ambizioso cercare di dare il nostro contributo. [/box][/expand] [expand title=”Roberta Valtorta. Direttore scientifico Museo di Fotografia Contemporanea, Cinisello Balsamo”][box]Roberta Valtorta
Considerato il fatto, a premessa di qualunque ragionamento, che negli avvicendamenti creati dai grandi flussi della storia e delleconomia ciò che è centro può sempre divenire periferia o anche decadere del tutto, e ciò che è periferico può trasformarsi in centro, diciamo che fin dalla sua nascita e per la sua stessa collocazione decentrata a Cinisello Balsamo, il Museo di Fotografia Contemporanea, pur operando scelte su scala internazionale, si è interrogato sullimportanza del rapporto con il territorio nel quale si trova. Ha quindi compreso profondamente nella sua missione culturale lideazione di progetti mirati a dialogare con i cittadini, non solo di Cinisello Balsamo ma anche della complessa area del Nord Milano, ieri territorio intimamente segnato dal grande processo di industrializzazione, oggi vasta area deindustrializzata che vive un momento molto delicato di radicale trasformazione non solo economica, ma anche sociale e culturale. Come molte aree ex-industriali del mondo occidentale, unarea in cerca di una nuova identità. In questa ricerca del suo territorio come momento costitutivo della sua stessa identità, il Museo si è peraltro coerentemente collegato alle sue radici: infatti è in seno al progetto Archivio dello spazio, parte del più ampio progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano che si è fatta strada, nel 1996, lidea di creare finalmente anche in Italia e proprio a partire dalla collezione di quasi 8000 fotografie tutte dedicate al territorio in trasformazione della Provincia di Milano prodotte durante lo svolgersi del progetto un luogo di conservazione, studio, valorizzazione della fotografia contemporanea. E così nato, nel 2004, lattuale Museo di Fotografia Contemporanea. E dunque, in una continua riflessione sulle sue origini da un progetto di studio dei luoghi della contemporaneità nonché sulla sua collocazione nellhinterland milanese, il Museo ha inteso far tesoro di questi due elementi: territorio e decentramento con tutta la complessità che essi comportano.
Un museo della nostra difficile contemporaneità, dunque, che cerca la varietà non solo numerica ma anche identitaria dei suoi pubblici, e cerca di compiere agili scelte in tempo reale al fine di incontrare una società che si disgrega e cambia destino, e lo fa attraverso un mezzo, la fotografia, che oggi, da un lato, nellavvenuto passaggio dallanalogico al digitale si trova coinvolto in un vero e proprio processo di mutazione, dallaltro occupa una posizione sempre più rilevante, per certi aspetti centrale, nellambito dellarte contemporanea.
Per dotarsi di una possibile carta didentità in sintonia con le grandi trasformazioni socio-culturali in atto, il Museo, oltre che attivare un Servizio educativo che lavora al coinvolgimento di ogni tipo di pubblico in iniziative di partecipazione non convenzionali, ha velocemente sviluppato alcuni progetti molto importanti, anche in senso simbolico. Dal 2001 al 2004, in preparazione dellinaugurazione, ha realizzato tre seminari (E contemporanea la fotografia?, Fotografia e postfotografia, Presente e futuro della fotografia) che hanno messo in discussione lattualità stessa della fotografia e del museo stesso, producendo un quaderno di studio dal titolo E contemporanea la fotografia? Nel 2005-2007 il Museo è uscito dalla sua sede andando letteralmente nel territorio in cerca del pubblico attraverso la grande opera di arte pubblica ideata da Jochen Gerz dal titolo Salviamo la luna, che ha coinvolto e impegnato sul tema fondamentale del ritratto quasi 3000 cittadini di Cinisello Balsamo, dei comuni limitrofi, di Milano, resi protagonisti e idealmente coautori del complesso processo creativo del quale lopera era intessuta. Nel 2007 un altro progetto dal titolo Io parto ha visto installazioni di fotografie di Paola De Pietri fuori dal museo, in luoghi vari della città, dallufficio postale alla chiesa, dalla biblioteca civica allufficio anagrafe. Nel 2008 è stato realizzato il progetto Mobile City, basato sulla fotografia fatta con il cellulare e studiato per un pubblico di adolescenti di tutta larea metropolitana milanese, in un confronto con larea metropolitana di Toronto. Infine nel 2011-2012 il Museo ha dato vita e sta sviluppando al vasto progetto Art Around, del quale il convegno di oggi è parte, che vedrà impegnati otto giovani artisti italiani in installazioni in altrettanti centri di cultura del Nord Milano quelli che oggi si trovano qui riuniti in questa importante tavola rotonda , e lartista svizzero Beat Streuli in una grande installazione allaperto che verrà realizzata in occasione dellinaugurazione del nuovo Centro culturale Pertini.
Questo programma di lavoro punta alla progressiva costruzione di un museo che, in linea con orientamenti che, affermatisi da ventanni a questa parte, hanno più lontane radici negli anni Settanta, quando, non va dimenticato, dopo la creazione del Centre George Pompidou, allidea di museo-monumento iniziò a sostituirsi quella di museo aperto: un museo non più preposto ai soli compiti della conservazione, dello studio, dellesposizione, ma pensato e vissuto in modo non affermativo ma interrogativo, come luogo di incontro e di scambio costante con gli artisti e con il pubblico. E, aggiungiamo, nel momento contemporaneo posto in dialogo con le trasformazioni del territorio nel quale si trova ad agire, oltre che con ciò che a questo tema fa da problematico e interessante contraltare: la irrinunciabile dimensione della rete, che porta anche le istituzioni verso un inedito modo di essere basato sulla mobilità, la velocità, la relatività, la virtualità, la necessità di percepire i processi di creazione e di comunicazione in tempo reale.
Dalla sua riapertura nel giugno 2010 HangarBicocca si è configurato come uno spazio dedicato allarte contemporanea caratterizzato dallospitare nuove modalità di creazione e di fruizione artistica e di dialogo con il pubblico, in una logica pluridisciplinare e di rapporto con il territorio.
Nello specifico, Hangar si è posizionato come lunico centro darte contemporanea di qualità internazionale attivo non solo a Milano ma anche nel nord Italia, aperto verso le realtà espositive europee più consolidate.
La sua caratteristica evidente nella programmazione, rispetto ad istituzioni museali riconosciute del nord-centro Italia (come il Castello di Rivoli, il Mart di Rovereto, il Museion di Bolzano, il Centro Pecci di Prato, il Mambo di Bologna o le varie gallerie civiche Torino, Bergamo, Trento – ), è il non avere allentato il ritmo delle attività espositive proposte durante la crisi, ma lavere individuato una formula originale che dalla crisi stessa prendesse le mosse (il grande progetto Terre Vulnerabili), che ha consentito di coprire una stagione di attività con mostre di profilo altissimo che hanno messo Hangar a confronto con istituzioni europee, finendo così presto riconosciuto a più riprese dal prestigioso New York Times.
Tutte le mostre e gli eventi presentati da HangarBicocca si sono caratterizzati per essere improntati alla ricerca, alla sperimentazione e alla volontà di realizzare progetti site-specific. Dal 2010 dunque, la spina dorsale del programma di HangarBicocca è costituita da progetti di arte visiva, come hanno dimostrato le mostre di Christian Boltanski prima, e la collettiva Terre Vulnerabili poi. Intorno al programma espositivo si sono aperte delle Fessure: eventi di altri linguaggi contemporanei come musica, danza, teatro individuati dal team curatoriale per dialogare – arricchendolo – con linesauribile soggetto delle Terre Vulnerabili. Il programma degli eventi si è arricchito delloriginale formula – una volta al mese, di domenica – del garage sale, che si è dimostrato lo strumento più efficace per mettere in contatto tanto le comunità creative urbane, quanto il pubblico delle famiglie più curioso e disabituato alla frequentazione degli spazi darte contemporanea.
Alcune micro idee, semplici e comunitarie, per attivare il Distretto
Il Distretto Bicocca è composto da diverse realtà culturali ognuna con una propria vocazione in grado di creare e attivare un microsistema di produzione culturale che non ha nulla da invidiare a quello del centro città: lUniversità, il Teatro, la Scuola di Cinema, il Parco, il Centro di Musica Sperimentale, il Museo di Fotografia, gli archivi della memoria industriale, i Comuni limitrofi
.una rete che deve iniziare a pensarsi insieme e a comunicarsi come tale.
-Una delle micro-azioni che immagino, sarebbe, molto semplicemente, quella di pensare, almeno una volta allanno e allinterno delle singole programmazioni di ognuno, un progetto comune. Immagino un tema che possa poi essere sviluppato e declinato da ogni singolo soggetto del Distretto secondo le proprie vocazioni. In questo modo si rafforzerebbe il progetto e si mischierebbero i pubblici e questo potrebbe anche portare il Distretto a diventare un esempio di gestione e programmazione culturale da esportare nelle varie comunità fuori. Questo modo di lavorare, inoltre, attiverebbe e trasmetterebbe allesterno il pensiero che alla Bicocca è nato davvero un Distretto culturale.
-Unaltra azione semplice, ma non meno importante, riguarda la comunicazione: bisogna far sapere al centro che nel quartiere Bicocca è nato un Distretto. Piccoli suggerimenti banali:
-creazione di un logo
-attivazione di un sito
-calendario delle programmazioni (questo significa mettere insieme un calendario delle singole programmazioni e produrne uno unico del Distretto da comunicare)
-una mappa/cartello segnaletico nei singoli luoghi che dichiari lappartenenza al Distretto ma anche indichi la strada del come raggiungere le singole istituzioni.
-individuazione di un modo per collegare il Distretto alle istituzioni culturali nel centro di Milano: se non a livello di programmazione almeno con mappe o segnaletica
Dialogo con lExpo
La nascita del Distretto culturale della Bicocca e il suo lancio consisterebbe in una posta minima di risorse – da garantire a fronte di un investimento che porterebbe indubbiamente a unaltissima efficienza, produzione e consolidamento dellidentità. Senza avere lambizione di essere una macchina culturale con proposte di contenuti quotidiani, il Distretto non dovrebbe assolutamente perdere loccasione di dialogare con la nuova fase di rilancio della città in direzione dellExpo, imponendosi come un quartiere vivo e ricco di luoghi culturali in grado di dialogare con le attività in città e pianificate dallExpo in grado di attirare e di accogliere visitatori internazionali e locali con lassoluta interdisciplinarietà della propria attività.
La possibilità di figurare tra i luoghi coinvolti nel progetto Art Around. Immagini per lo spazio pubblico, nonché di partecipare attivamente al suo percorso creativo come il progetto stesso prevede nella sua ottica work in progress concede al Teatro degli Arcimboldi di Milano e alla Fondazione I Pomeriggi Musicali che lo gestisce di prendere parte a uniniziativa deccellenza. Il Teatro degli Arcimboldi, dal 2007, dopo aver assolto la sua funzione di sala ospite per le produzioni scaligere e aver vissuto due stagioni di conduzione compartecipata da parte del Comune di Milano e di cinque fondazioni cittadine, si è trovato a doversi ri-creare come luogo di cultura decentrato sotto la gestione esclusiva della Fondazione I Pomeriggi Musicali. Ri-creare un luogo di cultura significa trovare per esso una nuova e vitale identità, radicarlo nel territorio, così come renderlo in grado di interessare bacini dutenza che ne trascendano i limiti geografici. Inoltre, nel caso di Milano, significa inserirlo in una mappatura dofferta culturale cittadina di gran lunga superiore alla domanda che la sostiene; in definitiva, significa riuscire a creare per esso un nuovo, specifico pubblico.
La Fondazione I Pomeriggi Musicali ha puntato sulleclettismo delle proposte, realizzando cartelloni in grado di spaziare quasi esaustivamente fra i diversi generi di spettacolo dal vivo, coscienziosamente mantenendo come unico minimo comune denominatore lalta qualità di quanto offerto.
Posizionato al confine tra la Zona Nord e linizio della topografia del centro, in quattro anni dattività, la sala della Bicocca è così stata in grado di convogliare verso di sé linteresse del traffico culturale di Milano e dellhinterland e, grazie alla caratura internazionale della sua programmazione, di richiamare a sé pubblico dallestero. Questo è quanto il Teatro degli Arcimboldi può oggi offrire come contributo al progetto Art Around. Forte inoltre dei suoi oltre 250.000 spettatori di media a stagione, si sente capace di fornire al progetto un apporto considerevole anche da un punto di vista quantitativo. Ora, considerando i risultati raggiunti, pare un momento opportuno e fertile per affiancare alla regolare attività del teatro limpegno allinterno di uniniziativa che, trascendendo loperato delle singole istituzioni coinvolte in un ottica distrettuale, possa configurarsi come naturale direttrice devoluzione del percorso finora seguito.
Invero, la linea desempio nel cui solco si inserisce Art Around è da ascrivere in tutto e per tutto a quanto realizzato da importanti modelli internazionali, i quali, grazie a una forza motrice culturale, hanno dato origine a esperienze oggi definite distretti culturali evoluti (si faccia riferimento al caso di Linz in Austria, citato da Pier Luigi Sacco e Sabrina Pedrini nel loro saggio Il distretto culturale: un nuovo modello di sviluppo locale?). Art Around, nel suo coinvolgere le istituzioni della cultura operanti nel distretto del Nord Milano, è da considerare primo tassello di un mosaico di relazioni reciproche e collaborazioni fra chi, in questa zona della città, opera e produce cultura, in una prospettiva di permeabilità di idee e iniziative. In un contesto soggetto a forti trasformazioni, in cui proprio i luoghi dedicati al consumo culturale si vanno ridefinendo e devono necessariamente trovare nuove modalità per servire le proprie utenze, è importante poter fornire il proprio contributo a uniniziativa che mira a interrogarsi sulla loro evoluzione tema al quale è stato giustappunto dedicato il primo appuntamento di lavoro di Art Around: il convegno Cultura dove sei? I luoghi della cultura nel flusso dei cambiamenti economici, sociali e tecnologici. Il teatro è luogo pubblico per eccellenza, non solo perché alla comunità pubblica si rivolge e la comunità pubblica accoglie, ma perché il pubblico risulta essere elemento assiomatico della sua stessa esistenza e natura. La nascita di spazi altri, di nuove esperienze che indagano altrettanto nuove prassi di fruizione, larrembante ingerenza degli universi virtuali, impongono fortemente linterrogativo: Cultura dove sei? La ridefinizione dei luoghi della cultura e della funzione che essi dovranno rivestire nel futuro prossimo deve necessariamente essere approcciata in costante dialogo con quanto di nuovo sta nascendo, per fare in modo che, pur nel necessario rispetto delle proprie identità, storia e tradizione, i luoghi deputati alla cultura non scadano nellessere relegati a una fruizione di tipo museale nellaccezione peggiore del termine ma traggano linfa da questepoca di cambiamento.
Per rifarsi alla lezione della storia, quando si pensa a un teatro decentrato, la data a cui la memoria si volge è il 1876, quando si inaugurava il Festspielhaus di Bayreuth. La nascita del teatro wagneriano come nuovo spazio progettato per modificare radicalmente la fruizione della rappresentazione musicale fu resa possibile dallevoluzione che aveva investito trasporti, tecniche di costruzione e dalla grande innovazione portata dallutilizzo della luce elettrica. Cambiamenti tecnologici, dunque, risibili se paragonati alle dinamiche esperienze moderne, ma che sconvolsero il mondo con la stessa dirompenza portata oggi dallascesa dei nuovi media, che vanno violentemente ad accelerare lultima fase di ciò che Walter Benjamin definì lepoca della riproducibilità tecnica. Ampliando largomentazione ai luoghi della cultura nel loro complesso e allatteggiamento dialettico con il quale dovrebbero approcciare il cambiamento portato dallevoluzione tecnologica, appare pregnante quanto Marc Fumaroli, storico e accademico francese, esprime in un articolo apparso su La Repubblica del 19 aprile 2011, in cui strenuamente si definisce contrario allimpermeabilità fra cultura e tecnologia, definendola come: « [
] una tendenza che va combattuta, anche imparando meglio ad utilizzare le nuove tecnologie, che possono favorire nuove forme di lettura, di pedagogia e di conoscenza».
Il presente che stiamo vivendo è dunque da considerare in tutto e per tutto un momento storico di passaggio verso nuove modalità di fruizione legate ai cambiamenti tecnologici. Art Around si sta interrogando, e sta operando, per cercare di capire quali queste modalità saranno e sperimentare nuovi percorsi per il futuro. Poter avere la possibilità di partecipare a questo atto di vero e proprio pionierismo culturale è senza dubbio per il Teatro degli Arcimboldi e per la Fondazione I Pomeriggi Musicali motivo di orgoglio.
Come molte delle più recenti biblioteche, anche Tilane è stata progettata con lidea che linverstimento economico pubblico potesse giustificarsi creando un luogo per la condivisione di esperienze e di saperi: uno spazio per promuovere larricchimento culturale e laggregazione, per offrire risposte sia ai bisogni informativi che a quelli di socializzazione dei cittadini. In questo doveva risiedere il valore civico della nuova biblioteca. Crediamo di esserci riusciti. Di certo, i dati ci dicono che siamo sulla buona strada.
La funzionalità degli spazi e il lay out sono stati progettati con lo Studio Aulenti, perché linterpretazione, in tal senso, del luogo risultasse immediata e non richiedesse codifiche di funzioni e di valori.
Il mandato ideativo era progettare spazi, percorsi, servizi accessibili e capaci di soddisfare una domanda di città, un desiderio di luoghi urbani di qualità, in grado di raccontare storie, alimentare appartenenze, permanere nella memoria.
Valore, quello della memoria, al quale ci siamo ispirati anche per il naming: Tilane era il nome della fabbrica tessile che sorgeva in quel comparto, richiamata anche nellimpianto e nel modulo strutturale, con la lunga facciata sulla ferrovia e gli ambienti a doppia altezza con la luce zenitale proveniente dagli shed.
La centralità urbana e la riconoscibilità architettonica delledificio, insieme allimportante attività di comunicazione della biblioteca (in termini di immagine), stanno rendendo Tilane un luogo identitario, un catalizzatore di cultura partecipata.
Un ruolo fondamentale in questa direzione è anche la continua sinergia con la città, che permette di valorizzare le iniziative dei soggetti del territorio in veste di promotori culturali, ai quali Tilane si offre in termini di spazi e di supporto logistico-organizzativo.
[/box][/expand] [expand title=”Riccardo Gini. Direttore Parco Nord Milano”][box]Riccardo GiniBuongiorno. Quella che vado a raccontarvi rapidamente è la storia del Parco Nord Milano dal punto di vista del suo rapporto con i cittadini e con le associazioni del territorio milanese.
Come tutte le storie in breve questa non è esattamente la realtà, ma quella che vado a tratteggiare è una mappa geografica che rappresentando il territorio rappresenta anche il narratore che vi parla: quindi siate generosi e prendete le mie parole come unesperienza da cui partire per un dibattito e non come la ricetta della verità.
Rispetto al rapporto con i cittadini riesco a distinguere quattro fasi che si sono succedute una dopo laltra ma che si rispecchiano luna nellaltra e viceversa. Nel senso che quella che considero come prima non è ancora finita e quella che considero come ultima esisteva già, in qualche misura, quarantanni fa.
La prima fase è quella che si potrebbe definire di « coinvolgimento politico», e va dagli anni settanta agli anni ottanta: il parco non esisteva, bisognava ancora istituirlo e, dopo listituzione, costruirlo.
Il quel periodo, grazie ad alcune associazioni ecologiste (gli «Amici del Parco Nord» in primis), si è riusciti a coinvolgere moltissime persone, a premere sulle istituzioni affinché istituissero il parco e a piantare i primi alberi per trasformare le aree degradate.
La seconda fase è quella che si può definire di « coinvolgimento sociale» del parco e corrisponde agli anni novanta: era necessario che tutti, e non solamente le associazioni impegnate politicamente, riconoscessero lesistenza del parco, lo utilizzassero, ci credessero. É la fase in cui lAmministrazione del parco ha dovuto conquistare la sua credibilità, dimostrare la sua efficienza e trasformare rapidamente lambiente per fuggire il degrado, e allo stesso tempo doveva farlo vivere per i fruitori abituali, cioè i residenti dei quartieri contigui al parco. Esempi di questa filosofia sono la costruzione delle aree di gioco per i bambini, delle prime strade pedonali e ciclabili, della prima passerella sopra una strada regionale molto trafficata, ma soprattutto i campi di bocce e i diversi tipi di verde, man mano che i boschi, le praterie, i viali alberati e le
altre infrastrutture verdi crescevano sempre più.
Lidea centrale di questa fase è che si doveva costruire un «paesaggio verde» pronto da vivere, da utilizzare perché i residenti frequentassero il parco, e che bisognasse avere degli alleati allinterno della comunità locale, soprattutto le persone anziane che avevano molto tempo libero e potevano impiegarlo presidiando il parco stesso.
La terza fase è quella detta del « coinvolgimento educativo», che si è concentrata sul creare e stabilizzare le relazioni territoriali con differenti tipologie di fruitori, trasformando il coinvolgimento sociale, la frequentazione spontanea e la fruizione indifferenziata in rapporto duraturo, responsabile e in armonia con la politica di sviluppo del parco. Questa fase ha inizio negli anni duemila e sfocia in diverse attività programmate per i bambini, i giovani, le famiglie, gli anziani. Il motto di questo periodo è «vivere il parco per vivere il mondo» e il target dei fruitori coinvolti non è più solo il mezzo milione di abitanti residenti nei dintorni del parco ma gli abitanti di un bacino più grande, di livello metropolitano, di quasi tre milioni di abitanti.
I programmi pedagogici per le scuole ma anche i campus per i bambini alla fine del periodo scolastico, le feste e i concerti nel cortile della Cascina Centro Parco, le attività domenicali di sensibilizzazione per le famiglie su specifici temi di ecologia, sono tutti esempi di questo, ma anche limpegno di un centinaio di volontari nel servizio di vigilanza, nel monitoraggio ambientale, nel servizio civile e nella gestione di certe aree sportive del parco (per esempio il velodromo, il campo da softball, il teatrino, il microlab, ecc.).
Lultima fase è quella attuale (che va avanti da qualche anno) che si può definire la fase di « coinvolgimento culturale». Il parco non ha più un valore solo ambientale o sociale ma anche un valore culturale. Ora bisogna scegliere le attività, le associazioni e i partner che ci aiutino a coltivare questo valore, il valore della biodiversità e della natura che va a «vincere sulla città».
Lesempio più preciso potrebbe essere quello del Festival della Biodiversità, che dal 2006 viene organizzato con il contributo di una trentina di altri partner: il Museo di Storia Naturale di Milano, luniversità, le Associazioni, le organizzazioni no-profit, gli sponsor privati, le istituzioni locali e regionali.
In questo contesto il parco non è più una semplice «cornice» in cui è possibile organizzare non importa quale evento per attirare la gente, a condizione che sia rispettosa dellambiente, ma diventa esso stesso il quadro, il contenuto culturale da veicolare.
In effetti, lo sforzo è di riconoscere lidentità del parco metropolitano, che è sopratutto un luogo ricostruito, di natura vivente, e solamente attraverso questa identità può diventare un luogo daggregazione, di educazione e di cultura che non ha pari in questa città.
È il solo luogo di Milano dove si possono osservare le stelle, e questo diventa unoccasione di socializzazione e di conoscenza, per esempio. La declinazione di tutte le unicità che fanno lidentità del Parco Nord Milano è quello che io chiamo il «valore culturale» del nostro lavoro.
Questo valore va incontro alle esigenze e al gusto di tutto il pubblico? Forse no. E come dialogare con le altre culture e lidentità perennemente in trasformazione delle città contemporanee? Sono problemi nuovi, quindi bisogna fare attenzione perchè non cè una soluzione, ma solo molti tentativi di dialogo. Quello che è vero è che per intraprendere non importa quale dialogo bisogna sapere chi si è e chi si può diventare.
Una persona anziana che ha visto tutte le trasformazioni del parco dalla sua nascita una volta mi ha detto che secondo lui il parco è diventato una sorta di lago, in cui tutti i quartieri della periferia milanese si specchiano. Questa metafora non è solamente una bella immagine, perché ci dà lidea di un parco che è riuscito a collegare e a ricucire un territorio periferico interrotto nel mezzo, che storicamente non ha mai avuto alcuna identità individuale. Ma limmagine del lago mi ha colpito anche perché è riuscita a rendere visibile lidentità del parco: quella di un enorme spazio naturale che si rivela nella sua profondità, ma anche quella di uno specchio superficiale in cui ciascuno può guardare la propria immagine di cittadino.
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Il convegno ha analizzato senza pretese di esaustività alcune tipologie di luoghi in cui la cultura viene prodotta, divulgata e fruita attraverso lo sguardo di alcuni operatori che, in Italia e allestero, hanno maggiormente contribuito a una riflessione teorica e a unazione concreta nel rinnovare pratiche e modelli di gestione e progettazione culturale.
Nella prima sono stati presentati alcuni modelli di luoghi e modalità di fruizione e produzione culturale (musei, mostre, spazi espositivi teatri e spettacolo dal vivo biblioteche e librerie cultura sul web) con un accento agli aspetti di cambiamento e discontinuità rispetto al passato: dalla sostenibilità economica allimpatto sociale, dagli aspetti progettuali ai risvolti di tipo politico e culturale, delineando un quadro di possibile apertura sul futuro prossimo.
La seconda parte della giornata è stata dedicata a una tavola rotonda in cui sulle stesse questioni si sono confrontati gli operatori delle realtà culturali dellarea del Nord Milano che partecipano al progetto ART AROUND con unattenzione privilegiata alle criticità e alle opportunità che questo territorio, ancora oggi in una fase di grande trasformazione, può offrire ai suoi cittadini.
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