Il cortile di Villa Ghirlanda ospita una novità a firma del Museo di Fotografia Contemporanea e del suo pubblico. Dal novembre 2017, davanti alla magnolia monumentale, viene esposta a rotazione la riproduzione a scala gigante di una fotografia scelta dai cittadini tra le opere conservate nell’archivio del Museo.
I cittadini partecipano a momenti di incontro, scoperta e formazione sulle collezioni. Successivamente sono invitati, in veste di curatori, a selezionare un’immagine in cui si identificano o che suscita in loro un’emozione particolare. Queste fotografie, stampate in grande formato, vengono esposte ogni quindici giorni accompagnate da un racconto personale. Contemporaneamente, all’interno del Museo, è possibile ammirare nei giorni di apertura al pubblico la fotografia originale corredata di didascalia tecnico-scientifica.
ME MUSEO si inserisce all’interno del progetto annuale “Non così lontano”, cofinanziato da Fondazione Cariplo nell’ambito del bando “Protagonismo culturale dei cittadini”, che vede partecipare accanto al Museo il Teatro degli Arcimboldi e lo Spazio MIL. Insieme ad altre azioni parallele, con Me Museo il MUFOCO intende coinvolgere attivamente i cittadini in quanto proprietari del patrimonio pubblico del Museo, per darne una rilettura nuova e inconsueta.
Il Museo apre le porte al pubblico ogni primo sabato del mese, con un approfondimento sui diversi generi fotografici.
Per partecipare agli incontri contattaci: servizioeducativo@mufoco.org o 02.66056631 – 02.6605661.
Per iniziare a prendere confidenza con le collezioni fotografiche è possibile consultare online il motore di ricerca
Il ciclo di incontri si è concluso a maggio 2018.
LE FOTOGRAFIE SCELTE DA VOI
© Mario Cresci
Stigliano, Potenza, 1983
stampa cromogenica 2004
Fondo Viaggio in Italia
La prima volta che ho visto questa fotografia non riuscivo a smettere di guardarla, ma non capivo perché. Ancora oggi ogni tanto ci ritorno… Nonostante il cielo grigio, la casa bianca mi trasmette un senso di pace. Mi ricorda quelle casette che si incontrano durante i cammini in montagna, isolate dal mondo, ma in cui in qualche modo si percepisce una presenza umana. Ripensandoci ora, credo che per me questa fotografia rappresenti l’idea di casa. Una forma dai contorni definiti, dove tutto trova il suo posto – un luogo indisturbato, ovunque esso sia.
Rica Cerbarano
“Sono nata a Torino nel 1992 e mi sono trasferita a Milano un anno fa in cerca di ispirazione e belle esperienze. Mi occupo di allestimenti per mostre e nella mia borsa non mancano mai due cose: burrocacao per le labbra e metro, “perché non si sa mai”. Mi piace frequentare il Museo perché quando ci vengo improvvisamente la fotografia mi sembra una cosa semplice. È bello trovarsi a guardare immagini, parlare di fotografia, condividere esperienze con persone diverse… Ogni volta è un arricchimento”
Descrizione dell’opera
Mario Cresci (Chiavari, 1942) è un artista poliedrico che, a partire dalla fine degli anni Sessanta, spazia dal disegno alla fotografia, dalla comunicazione visiva all’installazione. Nel 1974 si trasferisce a Matera e proprio in Basilicata conduce un’intensa ricerca etno-antropologica di riscoperta del territorio e della cultura materiale del Sud Italia.
La fotografia esposta ritrae un’abitazione con un muro bianco, cieco, nessuna apertura e un camino sul tetto. Il cielo scuro dello sfondo accentua la sagoma elementare e ne esalta la bidimensionalità, trasformandola nella rappresentazione stessa di una casa, fuori dallo spazio e dal tempo.
L’immagine appartiene al Fondo ‘Viaggio in Italia’, progetto promosso nel 1984 da Luigi Ghirri: un libro e una mostra composta da 300 fotografie di 20 autori italiani e stranieri che darà il via alla grande ‘Scuola di paesaggio italiana’. Le immagini di ‘Viaggio in Italia’ non raccontano più lo stereotipo del Bel Paese ma propongono immagini quotidiane, reali, lontano dai sensazionalismi dei luoghi simbolici e fuori dai canoni consolidati di rappresentazione del paesaggio.
© Mimmo Jodice
Taglio, 1977
stampa alla gelatina bromuro d’argento
Fondo Lanfranco Colombo
La mano curiosa di scoprire cosa si cela sotto il foglio bianco si affida al taglierino. Lui, sicuro di sé, incide. I due lembi di carta litigano e si separano. Il pollice e l’indice alzano un lembo. Sotto c’è un tavolo di noce, una tovaglia colorata ma ormai rigata, ci sono le briciole accumulatesi, c’è quella bruciatura di sigaretta lì da ferragosto. Spesso anche le mie mani si affidano al taglierino prima di comporre un collage, di trovare una nuova collocazione alle immagini o a parte di esse. Il taglierino ha permesso a una donna che ha sempre vissuto in una pagina patinata di potersi sedere su una comoda sedia Ikea tagliata poco prima.
Sara Clemente
“Sono da poco uscita dai teen, ho una grande passione che è quella di comporre collage, per questo spesso il pavimento di camera mia si ricopre di carta e le mie mani di colla. Quando aprì il Museo di Fotografia ero alle elementari e la scuola ci portò lì a fare un’attività. Noi eravamo bambini dagli occhi grandi e curiosi e lì era pieno di cose che ce li facevano spalancare ancora di più. Ho riscoperto il Museo due anni fa ed è rimasto il luogo dove mi rigenero, pieno di risorse, ricco di energie e stimoli e con un archivio che è proprio un posto magico”
Descrizione dell’opera
Mimmo Jodice (Napoli, 1934) è uno dei più importanti fotografi italiani.
Attento alle sperimentazioni e alle possibilità espressive del linguaggio fotografico, fin dagli anni Sessanta studia il paesaggio, l’architettura storica e contemporanea, i miti della classicità e del Mediterraneo.
L’opera esposta è parte di un trittico dedicato alla ricerca sul linguaggio visivo, in chiave concettuale e sperimentale. Nella fotografia si nota da principio una mano che incide la carta con un taglierino, ma solo a una visione più attenta ci si accorge che il taglio è realizzato veramente, direttamente sulla stampa.
Jodice sovrappone un elemento reale come il taglio alla rappresentazione stessa della realtà, ossia l’immagine, scardinando l’idea di fotografia come documentazione oggettiva.
L’opera appartiene al Fondo ‘Lanfranco Colombo’ un’eterogenea raccolta di fotografie, documenti e libri che nel loro insieme rispecchiano la trentennale attività internazionale della Galleria Il Diaframma punto di riferimento della scena culturale fotografica milanese dal secondo dopoguerra, diretta da Lanfranco Colombo, organizzatore culturale, editore e uno dei primi galleristi italiani.
© Pierre Cordier
Chimigramme, 1979
stampa cromogenica
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
La sensazione che provo guardando questa immagine è di grande stupore, come se mi trovassi a osservare l’universo con tanti pianeti che fluttuano armonicamente. Diversi ma con al loro interno le stesse caratteristiche. Tutti gli esseri dell’universo senzienti e insenzienti, sono così diversi eppure tutti composti da atomi uguali. Un atomo di silicio di un granello di sabbia è uguale a quello delle mie ossa. Questa fotografia mi trasmette un senso di universalità e mi ricorda un quadro di Kandinsky, Several Circles.
Rita Vitrano
“Sono una viaggiatrice, sono curiosa, eclettica con la passione per la montagna, l’arte contemporanea la musica rock /jazz e il teatro. Abito a Cinisello dal 1992 dove oltre a buoni amici ho trovato un’offerta culturale che non mi obbliga a spostarmi continuamente a Milano. Da quando è nato il MUFOCO non ho perso una mostra. La domenica mattina, se non sono in montagna, mi piace aggirarmi tra gli spazi che ospitano fotografie e progetti di grande qualità perché mi fanno riflettere, sognare, evadere”
Descrizione dell’opera
Pierre Cordier (Bruxelles, 1933) scopre casualmente nel 1956 una tecnica che in seguito chiamerà Chimigramma e che apre le porte a un regno ancora inesplorato. Dopo i primi errori e le prime meraviglie, l’artista indaga le possibilità espressive della scoperta, tra l’instabilità del procedimento e il fascino misterioso insito in esso.
L’opera esposta è ottenuta grazie all’azione di varie sostanze chimiche lasciate agire sull’emulsione della carta fotosensibile, senza l’uso della macchina fotografica. Come Cordier stesso sostiene, “il Chimigramma combina la fisica della pittura (vernice, cera, olio) alla chimica della fotografia (emulsione fotosensibile, sviluppo, fissaggio); in piena luce, senza l’uso di fotocamera e ingranditore”. Il Chimigramma, per sua natura non riproducibile, è quindi un oggetto unico e molto prezioso.
La stampa appartiene al Fondo ‘Lanfranco Colombo’ un’eterogenea raccolta di fotografie, documenti e libri che nel loro insieme rispecchiano la trentennale attività internazionale della Galleria Il Diaframma punto di riferimento della scena culturale fotografica milanese dal secondo dopoguerra, diretta da Lanfranco Colombo, organizzatore culturale, editore e uno dei primi galleristi italiani.
© Federico Patellani
Milano, 1946. La folla in piazza Castello durante il comizio di Achille Grandi
Stampa alla gelatina bromuro d’argento 20\2
Fondo Federico Patellani / Studio Federico Patellani – Regione Lombardia
In un primo momento sembra di vedere un acciottolato, poi si nota l’ombra, che ci sembrava quella del fotografo. Guardando meglio, abbiamo capito che quelli che sembrano sassi sono in realtà persone e che l’ombra è quella dell’edificio su cui il fotografo è salito per immortalare il momento, la Torre del Filarete del Castello Sforzesco a Milano. Ci ha colpito la moltitudine, probabilmente tutta quella folla è lì unita da un ideale comune, qualcosa di molto importante, perché si sente partecipazione e senso di appartenenza.
Pina Banfi, Elena Borlenghi, Daniela Luci, Stefano Ronchi, Elena Sacchi, Rita Vitrano (Centro culturale Il Pertini)
“Siamo colleghi / scollegati, legati nel Centro culturale ilPertini. Diversi nei corpi e nei pensieri ma uguali nella mission: libri, e-book, fumetti, cd, dvd, riviste, spettacoli, laboratori per grandi e per piccini… trovi tutto al Pertini. Con il Museo, nostro dirimpettaio, ci sentiamo un po’ cugini perché diffondere cultura ci rende vicini”
Descrizione dell’opera
Federico Patellani (Monza, 1911 – Milano, 1977) è stato uno dei maestri del fotogiornalismo italiano. Colto e sensibile narratore, testimone della società italiana, ha raccontato il Paese nel dopoguerra, la ripresa economica, la moda, il costume, la vita culturale. Patellani ha realizzato un reportage rigoroso, privo di retorica, attento a restituire all’osservatore gli elementi essenziali della narrazione.
La fotografia esposta fa parte di un più ampio corpus di immagini che racconta i giorni del referendum Monarchia-Repubblica del 2 giugno 1946, a Milano, un momento di enorme rilievo storico, nel quale per la prima volta, le donne sono ammesse al voto.
Federico Patellani è sulla torre del Castello Sforzesco e dall’alto scatta una fotografia: sotto di lui una miriade di persone indistinte riempie la piazza e satura l’inquadratura, lasciando immaginare una folla senza fine, unico soggetto, sopra la quale si proietta la grande ombra della torre stessa.
L’opera appartiene al Fondo ‘Federico Patellani’ costituito da circa 700 mila unità tra negativi, provini, diapositive e stampe, datati dal 1935 al 1976. I materiali sono collocati negli arredi originali dello studio di Federico Patellani, recuperati e installati nella Sala dell’Aurora di Villa Ghirlanda, a fianco del Museo.
© Guido Guidi
Mercato Saraceno, Forlì, 1972
Stampa alla gelatina bromuro d’argento 2004
Fondo Viaggio in Italia
Cercavo un’immagine di alberi perché ho bisogno di nutrirmi della loro bella semplicità. Mi ha colpito questa, per il luogo dello scatto: Mercato Saraceno, paese non famoso, dove mia madre, che ora non c’è più, ha trascorso la sua infanzia. Il soggetto all’inizio non mi piaceva. Ho riguardato la fotografia e solo allora ho notato l’ombra dell’albero. È stata un’emozione forte: l’albero c’era! Anima della casetta, che parte dalla terra, la attraversa e continua nella chioma di un altro albero… vero e vivo.
Elena Sacchi
“Sono nata a Milano e lavoro al Pertini come bibliotecaria in Area Ragazzi. Fosse per me, sarei sempre in viaggio e adoro anche solo immaginarlo: dove andare, come potrebbe essere, quali posti visitare… e se poi si avvera… meglio! Quando ero molto piccola, appena trovavo la porta di casa aperta, cercavo di uscire. Forse già si intuiva questa mia attitudine. Ho iniziato a sentire parlare del Museo quando ho iniziato a lavorare in biblioteca nel 2001, quando si stava costituendo, e ho assistito a tutta la sua evoluzione. Come cittadina di Cinisello sono contenta che ci sia!”
Descrizione dell’opera
Guido Guidi (Cesena, 1941), è un maestro della fotografia italiana e un artista stimato a livello internazionale. Sottile indagatore dello spazio, ricercatore e docente, è attivo dalla fine degli anni Sessanta. Realizza importanti ricerche personali, indagando il paesaggio e le sue trasformazioni e sperimentando contemporaneamente il linguaggio fotografico.
La fotografia esposta rappresenta una piccola e semplice casetta prefabbricata molto simile a una roulotte o alla casa delle bambole, collocata in un paesaggio di campagna. La luce del sole inonda la casa e sul muro emerge l’ombra dell’albero di fronte, come una grafica, nero su bianco. Le fotografie di Guidi spesso si concentrano non sulla presenza diretta dell’uomo ma sulle sue tracce, insegnandoci che, osservati con attenzione e cura, anche i dettagli più quotidiani, i particolari meno appariscenti, possiedono una loro bellezza e ci raccontano delle possibili storie.
L’immagine appartiene al Fondo ‘Viaggio in Italia’, progetto promosso nel 1984 da Luigi Ghirri: un libro e una mostra composta da 300 fotografie di 20 autori italiani e stranieri che darà il via alla grande ‘Scuola di paesaggio italiana’. Le immagini di ‘Viaggio in Italia’ non raccontano più lo stereotipo del Bel Paese ma propongono immagini quotidiane, reali, lontano dai sensazionalismi dei luoghi simbolici e fuori dai canoni consolidati di rappresentazione del paesaggio.
© Alessandra Spranzi
Il Velo,#1, 2007
Stampa cromogenica
Fondo Storie Immaginate in Luoghi Reali
Sembra quasi di sentire il calore della stanza, la luce che filtra dalle tende e che si riflette sul pavimento, di sentire l’odore della polvere accumulata sulle sedie accatastate e sui teli. Mi ricorda una giornata di primavera di quando ero piccola o di quando ci si sente felici, in pace, leggeri. Sensazioni che mi riportano all’infanzia, a casa di mia nonna, quando giocavo con mia sorella. Di solito prendevamo tutte le sedie dalla sala e le mettevamo vicine, le coprivamo con vecchi copriletti o con lenzuola un po’ rovinate, in modo da formare quello che per noi era una capanna o “una stanza nella stanza”. Era uno spazio nostro, fantastico, dove poter giocare creando e immaginando tanti mondi diversi.
Giulia Tini
“Nata a Milano, ho sempre vissuto circondata dal paesaggio urbano della sua periferia. Ho studiato filosofia e sono appassionata di fotografia. Non credo sia un caso; saper pensare aiuta ad osservare e saper guardare aiuta a riflettere. Mettere in immagini ciò che mi passa per la testa mi dà una sensazione di pace, di ordine e nello stesso tempo lo vivo una po’ come una magia. Una sensazione simile mi capita quando entro al Museo di Fotografia Contemporanea: vedere le mostre mi permette di entrare in una storia, in un racconto ogni volta diverso. È bello che ci sia un posto cosí in città, dove ognuno può ritrovare nelle immagini esposte qualcosa di se stesso, imparando allo stesso tempo qualcosa sulla fotografia”
Descrizione dell’opera
Dai primi anni Novanta Alessandra Spranzi (Milano, 1962) utilizza la fotografia e il video con progetti ogni volta diversi per raccontare una visione altra o alterata della realtà, sia attraverso la messa in scena sia con il prelievo di pezzi di realtà, o ancora intervenendo su materiale d’archivio.
La fotografia esposta appartiene alla serie Il velo, realizzata nel Casinò Municipale di San Pellegrino Terme, chiuso da tempo. L’autrice ha indagato il senso del passare del tempo e dell’abbandono attraverso i mobili trovati nel vecchio edificio, coperti da teli e lenzuola che li nascondono e proteggono. L’oggetto viene riconfigurato, resta in qualche modo riconoscibile e familiare ma nello stesso tempo acquista una forma nuova, autonoma. Sotto il velo il visibile diventa invisibile e la presenza è fondata sulla sua assenza. L’autrice riesce a staccarsi dalla visione oggettiva della fotografia documentaria per ritrovare le atmosfere evocative e sospese, caratteristiche della sua produzione artistica.
L’opera appartiene al Fondo ‘Storie immaginate in luoghi reali’, progetto di committenza del Museo di Fotografia Contemporanea nel quale otto artisti contemporanei italiani ed europei hanno indagato e interpretato otto luoghi storici e naturalistici della Lombardia.
© Jitka Hanzlová
Carole
Vaprio d’Adda, Villa Melzi d’Eril, 2007
stampa ink-jet
Fondo Storie Immaginate in Luoghi Reali
Vorrei accostarmi a te,
sciogliere le tue braccia conserte
e sollevare verso il cielo gli angoli serrati
della tua bocca.
Perchè non distogli lo sguardo
da chi ormai non c’è più?
L’ermellino stanco se ne è andato
e tu
dama pensierosa
non te ne sei nemmeno accorta.
La vita ti scorre tra le dita!
Alzati e afferrala!
Linda Ceola
“Sono nata in un paesino di campagna in provincia di Padova, mi piace esplorare il mondo in bicicletta e fotografarlo con i miei occhi.
Dopo tanto peregrinare sono arrivata qui a Cinisello Balsamo, per concludere con un tirocinio al MUFOCO il master in organizzazione di eventi artistici e culturali iniziato un anno fa al Palazzo Spinelli di Firenze. Ogni giorno scopro un tassello in più dell’affascinante mondo del Museo Fotografia Contemporanea ed è entusiasmante!”
Descrizione dell’opera
Jitka Hanzlová (Nachod, Repubblica Ceca, 1958), si trasferisce da giovane a Essen, in Germania, dove sperimenta la fotografia come forma di espressione semplice e diretta, soffermandosi sulla figura umana e sul paesaggio. Dagli anni Novanta si afferma come artista sulla scena internazionale.
La fotografia esposta, intimamente legata alle atmosfere del ritratto rinascimentale e ispirata alla celebre ‘Dama con l’Ermellino’ di Leonardo Da Vinci, mostra una giovane donna ritratta sullo sfondo scuro di una stanza di Villa Melzi d’Eril a Vaprio d’Adda, dove il pittore visse e lavorò per diversi periodi nei primi anni del Cinquecento. La composizione raffinata, impreziosita dalla luce naturale che illumina il viso, dona al soggetto un aspetto poetico e misterioso accentuato dallo sguardo rivolto verso un altrove fuori dal tempo.
L’opera appartiene al Fondo ‘Storie immaginate in luoghi reali’, progetto di committenza del Museo di Fotografia Contemporanea nel quale otto artisti contemporanei italiani ed europei hanno indagato e interpretato otto luoghi storici e naturalistici della Lombardia.
© Giovanni Chiaramonte
Cinisello Balsamo, Quartiere San’Eusebio, 1988
stampa cromogenica
Fondo Città di Cinisello / Comune di Cinisello Balsamo
Amo la mia città e questa foto è la sua storia racchiusa in un’immagine. Un paesone agricolo attaccato a Milano e Sesto che si ritrova nel vortice del boom industriale, la campagna e i campi che vengono inghiottiti dal cemento nell’arco di un paio di decenni.
È uno scatto degli anni ’80 ma questo scorcio potremmo vederlo anche oggi -penso a quei casermoni attaccati al Parco del Grugnotorto- eppure non provo disagio di fronte a questo panorama, non mi trasmette degrado o senso di abbandono. È quello che è Cinisello, nel bene e nel male. E io amo la mia città.
Luca Pezzetti
“Sono un quasi 40enne appena uscito dai teen, impiegato in una multinazionale cinisellese. Non mi intendo di fotografia ma mi piace tanto guardarla e ascoltare chi ne sa e ti apre dei mondi. Per questo ho iniziato a frequentare il Museo di Fotografia Contemporanea, al quale torno spesso e volentieri”
Descrizione dell’opera
Giovanni Chiaramonte (Varese, 1948) è uno dei principali esponenti della fotografia italiana di paesaggio. Comincia a fotografare alla fine degli anni Sessanta, dopo gli studi in filosofia e un grande interesse per il cinema. Dedica la sua ricerca alla relazione tra luogo e identità amplificando il linguaggio documentario delle sue immagini con elementi astratti e concettuali.
La fotografia esposta racconta di un territorio marginale, sospeso tra urbanizzazione e campagna, tra cemento e natura, due elementi che si integrano senza possibilità di dialogo. Il punto di vista è frontale, centrale nella striscia di asfalto che si spinge verso i campi in una simmetria perfetta interrotta solo dal palo della luce e dalle erbacce che crescono sui bordi dei marciapiedi. Terra e cielo si dividono l’inquadratura nelle due metà orizzontali, accentuando l’idea di un altrove sconfinato, oltre la città che si percepisce all’orizzonte.
L’opera appartiene al Fondo ‘Città di Cinisello Balsamo’, nel quale sono raccolte le fotografie dei progetti promossi dal Comune di Cinisello Balsamo nel 1998 e nel 2002. Le immagini raccontano il territorio, dal centro storico alle aree marginali, dalle grandi vie di comunicazione all’edilizia intensiva, nonché la vita sociale della città tra anziani, bambini, giovani, luoghi d’aggregazione, sport e vita quotidiana.
© Uliano Lucas
Piazza Duca D’Aosta, Milano, 1968
stampa alla gelatina bromuro d’argento 2012
Raccolta antologica / Fondazione Museo di Fotografia Contemporanea
Mi riporta indietro nel tempo, al giorno in cui sono arrivato alla Stazione Centrale di Milano per iniziare a lavorare in questa città. Nel suo volto e nel suo atteggiamento colgo il senso di spaesamento che ho provato anche io nel ritrovarmi nella grande piazza, con la mole incombente del grattacielo Pirelli, simbolo della Milano degli anni ’60. E mi ritrovo a pensare che non molto è cambiato: per gli emigranti di ieri e per i migranti di oggi è sempre la Stazione Centrale il punto nevralgico della città e la porta d’ingresso di Milano; la differenza è che quella porta rischia di diventare sempre più stretta.
Gaetano Conte
“Sono nato a San Severo, in provincia di Foggia, nel 1951. Dopo 5 anni a Torino, dove mi sono laureato in ingegneria elettrotecnica e dopo il servizio militare mi sono trasferito a Cinisello, dove abito dal gennaio 1977. Sono sposato, padre di due figli e nonno di due nipoti (in attesa del terzo).
Ho esercitato la professione di ingegnere per un po’ di anni, insegnato materie tecniche in alcuni istituti di Milano e scritto diversi testi scolastici sulla materia.
Mi sono interessato alla fotografia dal 2017, quando mi sono iscritto al Gruppo Fotoamatori di Cusano. Conoscevo già il MUFOCO, ma ho preso a frequentarlo con maggiore assiduità dallo scorso anno, aderendo alle varie iniziative proposte, compreso il photo jouer di quest’anno.
Oltre alla fotografia mi piacciono l’arte figurativa, in particolare la pittura, e i viaggi”
Descrizione dell’opera
Uliano Lucas (Milano, 1942) è uno dei più conosciuti fotogiornalisti italiani. La sua ricerca scaturisce dal coinvolgimento nel movimento del ’68 e delle lotte politiche degli anni ’70. Collabora con le maggiori testate di giornalismo, indagando i cambiamenti della società italiana e le guerre di liberazione in Europa e in Africa. Uomo colto e studioso di storia del reportage unisce, nel suo lavoro, professione e impegno civile.
Il punto di vista di questa fotografia, così ribassato, ci restituisce un’immagine potente, icona dell’immigrazione dal Sud dell’Italia a Milano. Il senso simbolico è generato dalla relazione tra il soggetto in primo piano, fermo e spaesato, appena uscito dalla Stazione Centrale lì accanto, che regge una valigia e una scatola di cartone tenute insieme dallo spago, e il massiccio grattacielo Pirelli che lo sovrasta, come un grande peso che incombe sulle sue spalle. Possiamo interpretare questa fotografia come una metafora del lavoro e del potere, dove l’uomo è l’ingranaggio che permette alla grande macchina di muoversi.
L’opera appartiene al Fondo ‘Raccolta antologica’, nel quale sono convogliate fotografie e video di autori diversi. Comprende una sezione storica e una più ampia, contemporanea, rappresentativa di importanti protagonisti della ricerca artistica sia italiana che internazionale.
© Olivo Barbieri
Dalla serie “Flipper”, 1977-1978
stampa cromogenica
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
Un mistero. Un pezzo di vetro appoggiato sopra i sassi. Sul vetro l’immagine di un uomo. Chi sarà? Sembra sicuro di sé, con la mano in tasca, una camminata che trasmette un senso di autorità. Chi sia non si sa, il suo volto è rimasto in un altro frammento di vetro. Se non è nessuno può essere chiunque. Ognuno può raccontare la sua storia… ma rapidamente però…
Potrebbe decidere di andarsene camminando sui sassi.
5^C Scuola Primaria Costa – Cinisello Balsamo
“Siamo gli alunni della classe 5^C della Scuola Primaria Costa di Cinisello Balsamo. Quando, pochi anni fa, è cominciata la nostra storia neanche ci conoscevamo, ora siamo inseparabili. Ci piace fare molte cose insieme: lavorare, giocare, ridere, scherzare; magari a volte esageriamo e forse… ce la tiriamo un po’. Preferiamo lavorare a coppie o in gruppo: dividendoci le parti e confrontandoci, ci sembra di capire meglio quel che stiamo facendo. Certo ognuno ha la propria personalità, c’è chi è più vivace, chi più sensibile, a chi piace scherzare, chi sembra addormentato e chi molto sveglio… ma il bello è che ciascuno si sente protetto dagli altri. Questi siamo noi. Da qualche tempo, con il maestro Maurizio, abbiamo conosciuto il Museo di Fotografia Contemporanea e ogni anno partecipiamo a visite guidate e laboratori, sempre diversi. Quest’anno, oltre al percorso di scoperta della mostra, abbiamo deciso di scegliere la nostra fotografia preferita per il progetto MeMuseo, scrivendo poi, tutti assieme, il testo che secondo noi la racconta”.
Descrizione dell’opera
Olivo Barbieri (Carpi, 1954) si dedica alla fotografia a partire dagli anni Settanta, dopo gli studi in pedagogia. La sua ricerca si concentra sul paesaggio e la sua rappresentazione. È noto soprattutto per l’indagine sulle trasformazioni delle metropoli europee e orientali attraverso le luci artificiali e per site_specific, nel quale racconta le città dall’alto, come modellini, attraverso la ripresa aerea e la tecnica del fuoco selettivo. Negli ultimi anni si concentra sulla relazione dell’uomo con l’ambiente facendo esplicito utilizzo di postproduzione digitale e producendo immagini in bilico tra realtà e finzione.
La fotografia esposta è parte di una serie di immagini scattate all’interno di una fabbrica dismessa di assemblaggio di flipper. L’inquadratura dall’alto è stretta sul pezzo di vetro rotto, poggiato su ciottoli sparsi, lasciando spazio solo alla bidimensionalità del frammento che tende all’astrazione, in un rimando di grafica e colore. Distrutti, abbandonati e sgualciti dal tempo, i flipper richiamano un immaginario nostalgico e pop che genera una riflessione sul rapporto tra sguardo e rappresentazione del reale.
La stampa appartiene al Fondo ‘Lanfranco Colombo’ un’eterogenea raccolta di fotografie, documenti e libri che nel loro insieme rispecchiano la trentennale attività internazionale della Galleria Il Diaframma punto di riferimento della scena culturale fotografica milanese dal secondo dopoguerra, diretta da Lanfranco Colombo, organizzatore culturale, editore e uno dei primi galleristi italiani.
© Franco Grignani
Lacerazione. Sperimentale di distorsione, 1953
stampa alla gelatina bromuro d’argento
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
Ha attirato la mia attenzione perché mi piacciono le forme stilizzate e il bianco e nero. Mi piacciono le immagini astratte perché possono rappresentare forme diverse a seconda di chi le guarda. Per esempio a me questa foto ricorda le zebre di un murales che ho visto a Milano, di fronte al centro sociale Leoncavallo, quando sono andata a trovare lo zio Giovanni alla manifestazione vinicola: “La terra trema.”
Francesca Copetti
“Sono una bambina di 10 anni e vivo a Sesto San Giovanni da sempre. A scuola mi piace studiare soprattutto italiano, storia, arte, musica e ginnastica. La musica mi piace proprio tanto, infatti sto imparando a suonare il pianoforte e vado anche a lezione di danza. Le fotografie le faccio con papà Diego, che mi ha fatto conoscere il Museo. Con lui ho visto alcune mostre, ma l’esperienza più bella è stata entrare in archivio, accompagnati da Diletta e Francesca”.
Descrizione dell’opera
Franco Grignani (Pieve Porto Morone, Pavia 1908 – Milano 1999), architetto e grafico, esponente della Op Art, è considerato il pioniere del rinascimento creativo del dopoguerra italiano. Utilizza la fotografia in modo sperimentale e sviluppa interesse verso l’ambito ottico-visivo, dedicandosi alla ricerca sulla percezione, secondo le teorie della Gestalt. Studia la subpercezione, la visione laterale e le distorsioni. La sua produzione, estremamente varia, registra tutte le possibilità dello sguardo, sperimentando diverse tecniche e supporti.
La fotografia esposta mostra una forma astratta flessibile ed elegante che rimanda ai giochi di illusione ottica, in cui il bianco e il nero si alternano con movimento e grande effetto grafico. La “Subpercezione” è “una visione subliminale che sfrutta le capacità “laterali” della mente, l’occhio si interroga sulla visione pura e segue le linee curve che si avvicinano e si allontanano con effetto ipnotico fino a generare inaspettate presenze.
La stampa appartiene al Fondo ‘Lanfranco Colombo’ un’eterogenea raccolta di fotografie, documenti e libri che nel loro insieme rispecchiano la trentennale attività internazionale della Galleria Il Diaframma punto di riferimento della scena culturale fotografica milanese dal secondo dopoguerra, diretta da Lanfranco Colombo, organizzatore culturale, editore e uno dei primi galleristi italiani.
© Luigi Ghirri
Lido di Volano, dalla serie “Il profilo delle nuvole”, 1985
Stampa cromogenica
Fondo Lanfranco Colombo
Guardando questa immagine non posso fare a meno di tornare indietro nel tempo ed esattamente agli anni sessanta, quando con i miei genitori passavo le lunghe estati sulla riviera adriatica. I preparativi per il viaggio cominciavano molti giorni prima e sul portapacchi della piccola seicento si accumulavano valigie, borse, sacche e con i miei fratelli ci stringevamo con tanta allegria.
Alla Pensione Rosa eravamo accolti come dei famigliari ma la sabbia esercitava su di noi un’attrazione irresistibile e subito raggiungevamo la grande spiaggia che sarebbe stata per molti giorni il nostro fantastico universo. Con gli immancabili cappellini di cotone bianco stile “Braccio di Ferro” costumi di lana o spugna che salivano oltre l’ombelico ci inoltravamo in un’atmosfera che con gli occhi di oggi definiremmo surreale.
Le giornate erano lunghe e gaie e tra un bagno e l’altro, le corse tra gli ombrelloni, le gare di tamburello, ping-pong, biliardino, di biglie sulla sabbia fresca dietro alle cabine al riparo dal sole infuocato, passavano in un lampo. Ma il divertimento più bello era salire sull’altalena e spingere sempre più in alto l’amica del cuore.
(un giorno la prenderò come fa il vento alla schiena…” come diceva Fabrizio De Andrè).
Tutto questo e molto altro mi torna alla mente guardando questa foto.
Romano Campalani
“Sono di carattere tranquillo, amo la compagnia, mi piace viaggiare, fare trekking leggero, pescare e naturalmente fotografare. Mi sono avvicinato a quest’arte alla fine degli anni Settanta; erano gli anni del bianco e nero e della mitica camera oscura oggi utilizzata quasi esclusivamente ad uso didattico.
Prediligo le foto ambientali naturalistiche ed in particolare mi focalizzo sui dettagli, senza però trascurare le persone e le immagini di vita quotidiana. Ho frequentato corsi di specializzazione di fotografia documentaria, di ritratto e paesaggio. Sono uno dei fondatori del gruppo fotografico freecamera di Sesto San Giovanni e attualmente ricopro la carica di presidente”
Tutto inizia da un’idea latente che vive dentro di me. Poi… all’improvviso mi appare in un equilibrio di forme quasi magiche, così fragili e delicate, capaci di emozionarmi fino al punto di non farmi sentire quel “suono magico” capace di immortalare l’attimo, prima che un alito di vento cancelli quel fugace istante di vita quotidiana.
Descrizione dell’opera
Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 – Roncocesi 1992) è oggi riconosciuto come uno dei più influenti fotografi europei. Fin dall’inizio degli anni Settanta dedica la sua ricerca alla complessità e alla poesia del paesaggio contemporaneo. A lui si devono molti progetti, primo fra tutti, nel 1984, Viaggio in Italia, che hanno determinato gli sviluppi della ricerca in Italia. Teorico, docente, scrittore, ha legato la fotografia alla geografia, alla musica, al cinema, alla letteratura.
La fotografia esposta fa parte della serie Il profilo delle nuvole, immagini realizzate tra Emilia, Lombardia e Veneto. Siamo in una spiaggia fuori stagione, dove i giochi dei bagni attendono silenziosi in riva al mare. Il ping pong in primo piano, con la rete dismessa, ci parla di un tempo trascorso, fuori dalle visioni consuete della riviera romagnola.
La stampa appartiene al Fondo ‘Lanfranco Colombo’ un’eterogenea raccolta di fotografie, documenti e libri che nel loro insieme rispecchiano la trentennale attività internazionale della Galleria Il Diaframma punto di riferimento della scena culturale fotografica milanese dal secondo dopoguerra, diretta da Lanfranco Colombo, organizzatore culturale, editore e uno dei primi galleristi italiani.
© Federico Patellani
Stresa, 1949. Misurazione della concorrente Mirella Ciotti, Miss Umbria
stampa alla gelatina bromuro d’argento 2015
Fondo Federico Patellani / Studio Federico Patellani – Regione Lombardia
Mi infastidiscono quelle cavallette bianche che ti stanno attorno. Il tuo sguardo, fiero e preoccupato, mi mette a disagio. Forse anche tu sei a disagio, ma lasci che il tuo corpo venga misurato, pesato, valutato. Sembri, ma non sei, una preda legata. Sei libera di andartene. Perché rimani?
Annalisa Mezzadri
“Nel 2010, libera da impegni lavorativi e non ancora “multinonna” come sono diventata in seguito, ho iniziato a soddisfare interessi e curiosità sia per l’arte contemporanea che per la fotografia… oltre a regalarmi viaggetti e gite in bici, che sempre mi fanno sentire libera e felice.
Scopro il Museo visitando la mostra dedicata alla fotografia astratta e incontro l’entusiasmo, la competenza e la simpatia delle persone che animano quel luogo e subito inizio a partecipare, con molta soddisfazione alle iniziative di avvicinamento alla fotografia.
Credo che tutto questo mi abbia aiutato a coltivare un “occhio fotografico”, osservo la luce dei luoghi e degli ambienti, valuto soggetti ed inquadrature e apprezzo con piacere e maggiore consapevolezza il lavoro di molti grandi fotografi”
Descrizione dell’opera
Federico Patellani (Monza, 1911 – Milano, 1977) è stato uno dei maestri del fotogiornalismo italiano. Colto e sensibile narratore, testimone della società italiana, ha raccontato il Paese nel dopoguerra, la ripresa economica, la moda, il costume, la vita culturale. Patellani ha realizzato un reportage rigoroso, privo di retorica, attento a restituire all’osservatore gli elementi essenziali della narrazione.
Nella fotografia esposta il soggetto è chiaramente la ragazza in costume, concorrente di Miss Italia ritratta sulla terrazza del Grand Hotel Regina Palace, che occupa con fermezza il centro dell’inquadratura, per tutta l’altezza dell’immagine. Il suo volto è leggermente inclinato e la sua espressione assorta ci fa intuire pensieri che vanno oltre la situazione del momento. Intorno a lei, due donne in camice bianco sono affaccendate nella misurazione del suo corpo mentre un uomo, appena più indietro, riporta i dati sulla carta.
L’opera appartiene al Fondo ‘Federico Patellani’ costituito da circa 700 mila unità tra negativi, provini, diapositive e stampe, datati dal 1935 al 1976. I materiali sono collocati negli arredi originali dello studio di Federico Patellani, recuperati e installati nella Sala dell’Aurora di Villa Ghirlanda, a fianco del Museo.
© Arthur Tress
Boy in Flood Dream, 1971
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
Una casa e una nave, la stabilità ed il movimento; assieme in un luogo di confine che è ancora terra, ma anche già mare. Un bambino, una persona che crescerà e conoscerà entrambi i mondi, ne varcherà i confini, deciderà a quale appartenere. Guarda indietro, ma si è arrampicato sul tetto per vedere lontano, forse sogna un giorno di diventare marinaio su un mercantile, forse gioca a farlo già dal tetto di questa casa. Ho sempre amato luoghi un po’ rialzati: appartamenti all’ultimo piano, campanili, monumenti, rocce sulla riva, colline, montagne. Mi permettono di avere una prospettiva più ampia su ciò che mi circonda, mi lasciano capire meglio dove sono e come mi devo rapportare con il “fuori di me”. Cerco di viaggiare, e di scoprire; per vedere di più bisogna sporgersi.
Barbara Cinquetti
© Tancredi Mangano,
dalla serie In Urbe, 2001
Fondo Idea di Metropoli, Città metropolitana di Milano
Un paio di anni fa mi è capitato di leggere il libro “Elogio delle erbacce” di Richard Mabey, che mi ha mostrato tutta la bellezza e l’importanza delle piante ingiustamente considerate meno “nobili”. Da allora ho cominciato anch’io a cercare e fotografare le erbacce come se fossero fiori meravigliosi, scoprendo che spesso lo sono davvero. L’anno scorso cercavo per lavoro l’aigami, un colorante tradizionale giapponese, introvabile in Europa, ma ricavato proprio da una “erbaccia” che pareva stesse cominciando a diffondersi spontaneamente anche da noi. Ma come trovarla? All’improvviso un flash: non era forse quel fiore blu intenso che avevo fotografato perché sbucava, impertinente, da un tombino? Il tempo di ritrovare la foto e confrontarla con quella recuperata in rete: era proprio lui! E il tombino? Davanti alla palazzina dove lavoro! Raccolta e adottata, ora la pianta cresce rigogliosamente sul mio davanzale, fiorisce e produce un bel colore blu, adatto per tingere la carta. Questo gioco di coincidenze mi è tornato in mente appena ho visto questa fotografia, strappandomi un sorriso. Viva le erbacce!
Cristina Corti
© Federico Patellani
Anna Magnani, 1943
Fondo Federico Patellani, Studio Federico Patellani, Regione Lombardia
È un pensiero, un tormento che trapela dai suoi occhi socchiusi. Le gocce d’acqua scendono sul suo viso come lacrime che non hanno avuto il loro spazio e il loro momento. Il viso, di una bellezza senza tempo, esce dall’acqua con un anelito di salvezza e di redenzione. L’acqua arriva al mento, ancora il corpo non è libero. Ma già dalle labbra socchiuse, tra le quali si intravvedono appena i denti, sta uscendo il sogno, la visione della vita, la certezza della salvezza.
Gemma Nazzani
© Giovanni Chiaramonte
Sedriano, 1994
Fondo Archivio dello Spazio / Città metropolitana di Milano
Quando ho visto per la prima volta l’immagine, la bicicletta, appoggiata, mi sembrava reale. Guardando l’opera originale ho scoperto che era dipinta sul muro. Come è facile a volte confondere reale e virtuale! La foto mi ha riportato alla mente ricordi di quando ero bambino e gli operai andavano tutti i giorni in fabbrica con la bicicletta, così come faceva mio padre. Tante volte l’ho osservato dalla finestra partire per il turno di notte. Avrei potuto dormire nel lettone.
Maurizio Ruggeri
© Gabriele Basilico
Milano, 1970-1973
Fondo Lanfranco Colombo, Regione Lombardia
Un bivio… quante volte mi sono trovata davanti a scelte difficili… Quelle giuste non sono mai le scelte facili. Quante volte permettiamo che l’abitudine ci impedisca di prendere le decisioni importanti, come svoltare a destra invece che a sinistra.
L’attimo di insicurezza che ti blocca, il cammino della vita che si ferma.
Respira.
Non è il terreno che calpesti che ne determina la qualità. Riempiti le scarpe di sassi e gli occhi di emozioni, perché la vera meta è il viaggio.
Anastasia Falciani
© Vittore Fossati,
Oviglio, Alessandria, 1981
Fondo Viaggio in Italia, Fondazione Museo Fotografia Contemporanea
Se questa fotografia fosse una tela, l’arcobaleno sarebbe il pennello intinto nei colori che dà origine al paesaggio, il getto che ha dipinto il cielo, i campi, la natura. Mi sono sempre chiesta dove inizi e finisca l’arcobaleno, perché l’arcobaleno contiene in sé qualcosa di magico. L’arcobaleno è speranza: dopo la tempesta arriva a portare nuova luce. Non per niente si dice che “alla fine dell’arcobaleno ci sia una pentola piena di monete d’oro…”. La possibilità di un nuovo inizio.
Elena Borlenghi
© Mario Giacomelli
dalla serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1981-1983
Fondo Lanfranco Colombo, Regione Lombardia
Tengo le distanze per difendermi. A guardarla davvero mi fa piangere. Guardo le mani e penso a mia madre. Mi commuovo profondamente, sento salire le lacrime da profondità remote, che poi sgorgano brucianti, calme ma non disperate. Non so se è il senso di drammatica solitudine che mi evoca, non so se è per la fatica del vivere ormai passato ma ancora presente, più che mai presente, non so se è per la vita che non c’è più o per la morte che purtroppo non c’è ancora. So solo che mi fa piangere.
Maria Teresa Treccani
© Federico Patellani
Minatori, 1950
Fondo Federico Patellani, Studio Federico Patellani, Regione Lombardia
Ricordo la prima volta che la vidi: attirò la mia attenzione fin da lontano, quando ancora non l’avevo ben messa a fuoco. Finalmente vicino, ecco gli occhi dell’uomo in primo piano, vitali sebbene stanchi, limpidi in un volto sporco e polveroso. Nella sua espressione una domanda: -Vi sembra possibile tutto questo?-. Mi soffermo ancora un po’ sulla foto, poi guardo la didascalia: Federico Patellani. Carbonia, 1950.
Minatori… Carbonia – 1950 – Minatori. Il nonno era lì, in quel luogo, in quegli anni, era uno di loro. Solo dopo, nei primi anni Sessanta, sarebbe venuto “in continente” a cercare un nuovo lavoro. Riaffiorano i ricordi dei suoi racconti: gli anarchici, i fascisti, Mussolini, gli scioperi, l’incidente, lo spettro della silicosi. E poi il viaggio, il nostro viaggio, in quei luoghi: Bacu Abis, Cortoghiana, Carbonia, Serbariu. La discesa nei cunicoli, le mie foto anche, a continuare il racconto di una storia anche un po’ nostra.
Diego Copetti
© Walter Niedermayr
Carugate, 1991
Fondo Archivio dello Spazio, Città metropolitana di Milano
Quante arti possono incrociarsi in un labirinto? L’idea che la pittura possa essere un’opera condivisa in un murales, l’espressione di bambini accompagnati alla cura di uno spazio in degrado, la visione di una fotografia che cerca alchimie tra grigi periferici e colori di rinascita, la necessità e lo studio di una architettura divisa tra ex filande e alloggi popolari…
Arti, artisti, artigiani, operatori, operai, visionari… passione e amore per il proprio lavoro alla ricerca di un senso e di una bellezza, non sempre raggiunti, che possono dare immagini di speranza.
Roberto Guzzi
© Christian Vogt
Paula, 1977
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
Questa fotografia per me rappresenta la solitudine, il completo abbandono del corpo nella totale indifferenza del resto del mondo. Quello che conta, per la donna, è la completa dedizione all’anima e al pensiero. La mia immaginazione mi porta a pensare che, nella stabilità del momento, qualcuno sia entrato e uscito in modo talmente veloce da far muovere solo il cappotto, passando inosservato alla donna immersa nei suoi pensieri.
Irene Russo
© Thomas Struth
Duomo di Milano (facciata), Milano 1998
Fondo Milano Senza Confini / Città metropolitana di Milano
Sono stata attratta dalla grandezza dell’immagine, dai colori della stampa e dal taglio deciso. Mi sono chiesta: perché l’autore ha voluto fotografare il Duomo di Milano? Forse perché, da tedesco, ha cercato il simbolo più rappresentativo? O forse perchè, come me. è affascinato dalle chiese, dalla loro architettura e soprattutto dalla loro bellezza.
Greta Crepaldi
© Gianni Berengo Gardin
Venezia, 1960
Raccolta antologica, Fondazione Museo Fotografia Contemporanea
Quando ho visto questa foto mi sono detto: eccola, sei tu la mia foto preferita! Ti ho scelto per i bei sentimenti che mi hai fatto provare.
Bambina che corri spensierata in mezzo alla neve, mi fai ricordare l’infanzia, periodo ricco di felicità e lontano dai problemi della vita adulta.
Piccioni che volate in cielo, mi affascinate per la vostra capacità di volare. Mi immedesimo in voi e vedo Venezia dall’alto, la quale mi lascia a bocca aperta, tanto è bella.
Alessandro Prada
© Gabriele Basilico
Milano quartieri, 1970-1973
Fondo Lanfranco Colombo, Regione Lombardia
Scoprire questa fotografia, mi ha fatto tornare indietro nel tempo, agli anni in cui ho iniziato a fotografare e ricercavo, con la fotografia, di raccontare il rapporto tra uomo e ambiente.
L’immagine rappresenta per me questo incontro, l’intensità degli sguardi dei ragazzi verso la macchina fotografica contrasta con l’indifferenza e il disinteresse di quel ragazzo con la fionda (forse il bullo di turno) e racconta la vita del gruppo di periferia con l’agglomerato urbano che sta via via crescendo. Una foto che avrei voluto scattare io.
Luciano Oggioni
© Luigi Ghirri
Fenis, dalla serie Castelli Valdostani, 1991
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
Eccola qui! Ecco una mia grande paura.
Soffro di claustrofobia e alla sola idea di trovarmi in una stretta scala a chiocciola sto male. Eppure… Eppure questa foto non riesco ad associarla del tutto alla mia fobia. Sarà la luce che entra, saranno le pareti che sembrano d’oro, ma quasi sarei tentata di vedere dove porta.
Sabrina Perego
© Federico Patellani
Aldo Patellani, 1946
Fondo Federico Patellani, Studio Federico Patellani, Regione Lombardia
Un bambino che gioca, l’ombra lunga sull’asfalto, la mano non perfettamente a fuoco nel controluce di un’estate cittadina. Nel momento in cui cerchi di fissarlo, l’attimo è già passato, non puoi riviverlo, non puoi descriverlo. Ma può riuscirci una foto come questa che da una parte lo congela e dall’altra lo restituisce a se stesso: atto mai più ripetibile, come tutti gli attimi, come questo scatto. Questa per me è la fotografia: l’eternarsi di un frammento di tempo.
Antonella Andretta
© Joan Fontcuberta
Googlegram 9. Homeless, 2005
Raccolta antologica, Fondazione Museo Fotografia Contemporanea
Solitudine e abbandono ma anche rabbia e indignazione. Sono diverse le emozioni che questa fotografia ha suscitato in noi portandoci ad avvicinarci ad essa fino a sentircene respinte. Davanti a questa immagine ci sentiamo impotenti e questo ci genera ansia, per la realtà che viviamo ogni giorno. Quanto ci stiamo abituando alle persone che vivono in strada? Se pensiamo alla condizione dei profughi o delle persone abbandonate a se stesse la pensiamo come situazione d’emergenza, oppure come routine quotidiana?
Questa immagine è geniale, perché grazie alla tecnica del mosaico chiude il cerchio di causa-effetto: la ricchezza di pochi genera la povertà di molti.
Gruppo Antiginnastica, Cinisello Balsamo con Strombolina Monti
© Paolo Gioli
Sconosciuti, 1994-1995
Raccolta antologica, Fondazione Museo Fotografia Contemporanea
Ehi tu sconosciuto, segnato dai graffi del tempo e della vita…io non ti conosco ma, forse, neanche tu ormai ti riconosci più, non sai più chi sei… Per i tanti segni che il tuo viso racchiude sulla pelle, trasfigurando ciò che eri e ciò che sei e lasciandoti ammutolito e attonito. La tua bocca non può più parlare e neanche un occhio può più vedere ciò che accade o, forse, preferisce la nebbia, l’oscurità alla luce che rende tutto visibile, anche la sofferenza, sepolta dentro di te. Solo un occhio è rimasto a vegliare, vivo, acceso per sbirciare la realtà ma è sull’allerta, pronto a scappare nei meandri del sè, dove nessuno osa seguirlo e lui può rintanarsi nel suo mondo.
Anna Muntoni
© Arthur Tress
Boy in Flood Dream, 1971
Fondo Lanfranco Colombo / Regione Lombardia
La bassa marea, il temporale appena passato, i detriti emersi sulla sabbia, il capanno malmesso in primo piano che, con il tetto, sembra indicare la nave arenata sulla riva del mare. Sono tracce che mi inquietano, alcune evidenti, altre meno, e che ho sentito al primo approccio con questa fotografia. Un paesaggio ripreso appena dopo una piccola catastrofe quotidiana e su tutto, al centro, lo sguardo del bambino che emerge dal capanno. Uno sguardo che mi respinge, che vuole dirmi: “Questo è il mio mondo, questa è casa mia, così mi è stata data e così rimarrà!”. Un bambino che mi agghiaccia con la sua espressione e i suoi capelli biondissimi, una presenza che sembra uscire da un sogno, anzi da un incubo.
Sì, questa foto mi appare come un incubo in bianco e nero che diventa reale.
Roberto Mangano
© Luca Andreoni
Veduggio con Colzano, 1997
Fondo Archivio dello Spazio, Città metropolitana di Milano
Veduggio è un Comune confinante con quello dove viviamo. Stessa terra, stessa cultura. Eppure si trova al di là del Lambro, un confine naturale facile da scavalcare ma anche un confine mentale che fa sì che sia luogo sconosciuto, quasi terra straniera. Infatti non conoscevamo questo posto e ci siamo poi stati per vederlo di persona. È affascinante come la fotografia faccia scoprire luoghi non solo lontani ed esotici ma anche la propria cultura. Ed è una piacevole coincidenza che questa fotografia sia stata realizzata da Luca Andreoni, un artista che abbiamo “scoperto” quasi per caso sul web e poi avuto il piacere di conoscere ed apprezzare anche personalmente. Ci è piaciuto molto questo gioco di scoperte e collegamenti che una, apparentemente, semplice fotografia è in grado di creare.
Cristina Corti e Roberto Mauri
© Luca Maria Petella
Qui è normale, 1969-1970
Fondo Lanfranco Colombo, Regione Lombardia
Questa fotografia mi ha colpito subito, dandomi un piccolo sobbalzo al cuore che mi ha costretto a soffermarmi e osservarla bene. Un mondo oscuro che circonda una persona protesa verso la luce, in cerca di una via d’uscita, anche se un po’ irreale, mi ha riportato alla memoria momenti bui, ora superati, che, forse, tutti prima o poi viviamo. Niente panico, si dice. Ma in quei momenti non c’è nulla che possiamo controllare davvero e l’unico desiderio è di essere normale, non marziani incompresi. È stato anche grazie alla fotografia che ora quei momenti sono il mio passato. Davvero curioso come un singolo scatto sia capace di raccontarlo tutto in una semplice immagine.
Roberto Mauri
© Mario Giacomelli
dalla serie Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, 1981-1983
Fondo lanfranco Colombo, Regione Lombardia
I rilievi delle vene, le pieghe della pelle invecchiata, le calvizie della signora messi in evidenza dal bianco e nero. La foto è dedicata a lei. La schiena inarcata e lo sguardo abbassato trasmettono uno stato di malinconia e soggezione. Il bianco e nero, inoltre, è come se accentuasse il malessere di questa donna, rendendoci partecipi di ciò che prova. Traspare una forte sensazione di mancanza, dispersione e abbandono.
Ho scelto questa immagine perché, quando andavo a trovare mio nonno e mio zio all’ospizio, percepivo questa forte mancanza e abbandono di se stessi. Una forte tristezza mi avvolgeva, e anche tanta rabbia. Questo è il destino che attende tutti noi, una sorte che ci fa paura ma che fa parte del ciclo della vita. La vecchiaia ci fa riflettere sulla vita, ripensando anche solamente ai viaggi trascorsi, alla famiglia, agli amici, all’amore che ci ha accompagnato e con cui si ha costruito una famiglia.
Camilla Picone
© Federico Patellani
Zagabria, ritratto di coppia, 1941
Fondo Federico Patellani, Studio Federico Patellani, Regione Lombardia
Ho scelto di regalarmi questa fotografia perché condensa l’idea di divertimento e spensieratezza del tempo libero. Due giovani adulti fanno un gioco da bambini, un gioco fisico, e la fotografia ce ne restituisce l’attimo – che per loro è ricordo – con fresca integrità. L’uomo sullo sfondo, con la sua bicicletta, si sporge curioso a guardare la scena: l’obiettivo dell’autore lo ritrae contemporaneamente come osservatore e osservato e ne fa un dettaglio di stile e composizione. Lascio ad altri il compito di scegliere la Fotografia che denuncia o celebra o innesca puro pensiero. Qui ho preferito quella più vicina a tutti noi, quella che pratichiamo con maggiore dimestichezza, quella del ricordo di una gita, di una vacanza. Il ricordo di una felicità semplice.
Claudia Ghelfi
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